Il cessionario di un credito privo delle garanzie promesse ha sempre diritto al risarcimento del danno
Cass. civ., sez. III, 15 giugno 2020, n. 11583 – Pres. Travaglino – Rel. D’Arrigo
Parole chiave: Cessione di credito – Inesistenza della garanzia reale – Inadempimento del cedente – Sussistenza – Risarcimento del danno – Sussistenza
[1] Massima: Nel caso di cessione del credito nominalmente assistito da una garanzia reale, qualora quest’ultima risulti nulla, prescritta, estinta o di grado inferiore rispetto a quello indicato dal cedente, il cessionario può agire nei confronti di quest’ultimo ancor prima di aver escusso il debitore ceduto, chiedendo il risarcimento del danno da inadempimento, senza necessità di domandare la risoluzione della cessione, poiché una diminuzione delle garanzie è in sé causativa di un danno patrimoniale immediato ed attuale, corrispondente alla diminuzione del valore di circolazione del credito.
Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1218, 1223, 1260, 1263
Parole chiave: Cessione di credito – Risarcimento del danno – Diminuzione del valore di circolazione – Liquidazione equitativa – Criteri utilizzabili
[2] Massima: La liquidazione del danno da diminuzione del valore di circolazione del credito ceduto, derivante dalla mancanza di una garanzia reale promessa dal cedente, deve essere parametrata, con giudizio necessariamente equitativo, alla maggiore prevedibile perdita in caso di insolvenza. Tuttavia, qualora il cessionario abbia già riscosso il credito in sede esecutiva e sia rimasto insoddisfatto, la liquidazione del danno per il vizio che rende impossibile escutere la garanzia non può avvenire più secondo un criterio prospettico, ma corrisponde in concreto alla minor somma fra la parte del credito rimasta insoddisfatta e l’importo ulteriore che il creditore avrebbe potuto riscuotere in sede esecutiva se egli avesse potuto espropriare il bene che avrebbe dovuto essere oggetto dell’ipoteca mancante.
Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1218, 1223, 1226, 1263, 1266, 1267
CASO
Una banca cedeva, per un corrispettivo di € 400.000,00, i crediti (del valore nominale di € 1.752.065,81) vantati nei confronti di una società e garantiti da ipoteche iscritte su vari immobili.
Al momento dell’espletamento delle formalità per l’annotazione della surroga in dette ipoteche, il cessionario apprendeva, tuttavia, che alcune di esse erano state precedentemente cancellate, all’esito dell’espropriazione forzata degli immobili che era stata promossa proprio dall’istituto di credito cedente.
Il cessionario agiva, quindi, in giudizio, lamentando il comportamento doloso del cedente e chiedendo il risarcimento dei danni.
La domanda del cessionario veniva accolta in primo grado, con sentenza confermata in appello, sicché il cedente proponeva ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
[1] La Corte di cassazione ha affermato che il cessionario di un credito che non risulti assistito dalle garanzie reali promesse ha diritto di ottenere il risarcimento del danno, indipendentemente dal fatto di aver escusso o meno il debitore ceduto.
[2] Con riferimento, invece, ai criteri di liquidazione del danno, i giudici di legittimità hanno evidenziato che, dovendosi necessariamente procedere a una valutazione di carattere equitativo, dovrà essere considerata la diminuzione del valore di circolazione del credito, che assumerà contorni differenti a seconda che il cessionario abbia o meno provveduto all’escussione del debitore ceduto.
QUESTIONI
[1] L’interesse delle problematiche affrontate dalla sentenza che si annota emerge in tutta la sua evidenza se solo si considera che la Corte di cassazione, pur ravvisando l’inammissibilità del ricorso proposto dall’istituto di credito cedente, ha nondimeno ritenuto di dover esaminare le questioni con esso prospettate nell’interesse della legge.
In primo luogo, l’attenzione dei giudici di legittimità si è concentrata sulla possibilità per il cessionario di un credito che non abbia ancora promosso le azioni volte a realizzarlo – aggredendo il debitore ceduto – di agire nei confronti del cedente per ottenere il risarcimento del danno ascrivibile al fatto che il credito non risulta assistito dalle garanzie reali promesse.
Sotto questo profilo, è stato osservato che, costituendo la garanzia reale un diritto autonomo, ancorché collegato, rispetto al credito ceduto, il cedente che trasferisca al cessionario un credito assistito da ipoteche, delle quali alcune risultino estinte perché già escusse, si rende inadempiente agli impegni contrattualmente assunti, provocando un danno meritevole di essere risarcito.
Ciò in quanto il credito ha un valore di circolazione che dipende non solo dal suo importo nominale, ma anche dalle garanzie (reali o personali) che lo assistono e dal tempo di riscossione, trattandosi di circostanze che influiscono sul suo grado di esigibilità e di realizzabilità.
Facendo propri concetti elaborati nell’ambito della matematica finanziaria, la sentenza annotata rileva come tale valore di circolazione si ottenga sottraendo al valore nominale del credito la perdita attesa in caso di inadempienza (loss given default), la cui determinazione è influenzata, da un lato, dall’entità delle garanzie che assistono il credito – risultando maggiore per quelli chirografari e, di converso, minore per quelli ipotecari – e, dall’altro lato, dal tempo che occorrerà per liquidare l’immobile costituito in garanzia (time to liquidate) e dal ricavato della vendita forzata (recovery rate).
In quest’ottica, l’inesistenza o l’invalidità di una garanzia (sia essa ipotecaria, pignoratizia o fideiussoria) incidono considerevolmente sul valore di circolazione del credito, rendendo meno sicuri i tempi e la misura della riscossione forzata in caso di inadempimento del debitore.
Poiché l’assenza della garanzia promessa è causa di per sé del minore valore di circolazione, il danno provocato al cessionario è risarcibile indipendentemente dal fatto che egli abbia già agito per l’escussione nei confronti del debitore ceduto; in questo senso, la situazione giuridica che, secondo i giudici di legittimità, è meritevole di tutela è l’aspettativa del cessionario di disporre di un bene (il credito ceduto) che presenti caratteristiche tali da rispecchiare il valore di circolazione che ragionevolmente poteva attendersi nel momento in cui è stata posta in essere la cessione, sicché non si tratta di salvaguardare l’aspetto inerente all’esistenza del credito (cui fa riferimento l’art. 1266 c.c.) o alla solvenza del debitore (considerato, invece, dall’art. 1267 c.c.).
In altre parole, parrebbe trattarsi di una sorta di danno in re ipsa, come tale risarcibile senza che il cessionario debba attendere ovvero provare l’avvenuta (infruttuosa) escussione del debitore ceduto, perché, attenendo al valore di circolazione del credito, viene in rilievo in un tempo necessariamente antecedente a quello in cui lo stesso sarà eventualmente incassato.
Da questo punto di vista, la pronuncia desta qualche perplessità, dal momento che, nel nostro ordinamento e pur a fronte delle aperture giurisprudenziali recentemente manifestatesi, il danno va sempre provato, giacché i cosiddetti danni punitivi possono essere riconosciuti soltanto nelle ipotesi tassativamente individuate dal legislatore o comunque riconducibili a fattispecie tipiche, nelle quali siano puntualizzati i limiti quantitativi delle condanne irrogabili e sussista proporzionalità tra risarcimento riparatorio-compensativo e risarcimento punitivo.
D’altra parte, anche in materia di compravendita, l’acquirente che agisca per ottenere il risarcimento del danno nei confronti del venditore è onerato della prova delle conseguenze dannose ascrivibili ai vizi della cosa e del nesso di causalità tra le une e gli altri (tra le tante, Cass. civ., sez. III, 31 luglio 2017, n. 18947), mentre l’art. 1518 c.c., il quale pone una presunzione di danno minimo in favore della parte non inadempiente nella vendita di cose mobili, è considerata norma eccezionale, applicabile solo quando si tratti di beni aventi prezzo corrente stabilito per atto dell’autorità oppure risultante da listini di borsa o mercuriali, ai sensi dell’art. 1515, comma 3, c.c. (così Cass. civ. sez. II, 16 aprile 1994, n. 3614).
[2] Per quanto concerne la quantificazione del danno patito dal cessionario, i giudici di legittimità hanno osservato che il valore di circolazione del credito ha carattere prospettico, predittivo, esprimendo l’utilità che il creditore può trarre dalle vicende circolatorie del suo diritto.
Esso deve dunque essere parametrato – con giudizio necessariamente equitativo – alla misura in cui l’accresciuta prevedibile perdita in caso di insolvenza (dovuta all’assenza di garanzie che rafforzino le prospettive di incasso) ha ridotto il valore di circolazione del credito: in questo modo, riprendendo le parole impiegate nella sentenza che si annota, “occorrerà ponderare la misura della probabilità in cui il debitore si renderà inadempiente e, nell’ambito di questa probabilità, prevedere quanto la mancanza della garanzia possa ridurre le aspettative di integrale soddisfazione del credito. Ad esempio, se il debitore è probabilmente adempiente e, comunque, è ampiamente patrimonializzato, il danno da riduzione del valore di circolazione del credito sarà minimo o prossimo allo zero; viceversa, se è altamente probabile che il debitore si riveli inadempiente (come quando la sua posizione sia stata girata “a sofferenza”, secondo l’espressione in uso nel settore bancario) ed egli è impossidente, la perdita del valore di circolazione del credito è quasi interamente pari al suo valore nominale”.
Laddove, peraltro, nelle more del giudizio risarcitorio promosso dal cessionario, l’azione esecutiva da quest’ultimo intrapresa giunga a conclusione, non viene più in rilievo il valore di circolazione del credito (e, con esso, la possibilità di procedere alla liquidazione del danno secondo un criterio meramente prospettico), essendo per definizione venuti meno i presupposti per la circolazione (anche se, in effetti, a fronte di una soddisfazione solo parziale, il credito residuo sarebbe comunque suscettibile, almeno in astratto, di formare oggetto di ulteriore cessione; ma si tratta, verosimilmente, di ipotesi più che altro scolastica, tenuto conto della pressoché nulla appetibilità di un tale credito). In questo caso, il danno cagionato dal cedente al cessionario va individuato nella minore somma fra l’eventuale incapienza del ricavato dell’espropriazione forzata (corrispondente alla parte di credito rimasta insoddisfatta) e il presumibile valore per il quale il cessionario avrebbe partecipato al progetto di distribuzione, qualora fosse stato possibile procedere alla vendita dei beni che avrebbero dovuto essere gravati dall’ipoteca mancante.
Ne consegue, d’altro canto, che se il cessionario, nonostante l’assenza dell’ipoteca, sia rimasto comunque completamente soddisfatto, non vi è danno (salvo che, come precisato dai giudici di legittimità, il cessionario dimostri di avere perso, a causa della mancanza della garanzia, l’occasione di cedere a sua volta il credito a terzi a condizioni per lui più convenienti, quantomeno dal punto di vista della tempistica di riscossione); qualora, invece, il cessionario sia rimasto insoddisfatto per un importo superiore rispetto a quello che si sarebbe potuto ottenere dalla vendita forzata del bene che avrebbe dovuto essere ipotecato, è quest’ultimo importo a rappresentare il danno risarcibile.
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