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Cass. civ., sez. II, 27 marzo 2019, n. 8571 – Pres. Orilia – Rel. Oliva

[1] Contratto di compravendita – Pericolo di evizione – Contratto preliminare – Risoluzione del contratto – Pericolo concreto e attuale – Donazione

(Cod. civ. artt. 563, 1385, 1455, 1481; C.p.c. art. 360 n. 3 e 5)

[1] “Il diritto previsto dall’art. 1481 c.c., per cui il compratore può sospendere il pagamento del prezzo o pretendere idonea garanzia quando abbia ragione di temere che la cosa possa esser rivendicata da terzi, presuppone che il pericolo di evizione sia effettivo e cioè non meramente presuntivo o putativo, onde esso non può risolversi in un mero timore soggettivo che l’evizione possa verificarsi, ma, anche quando si abbia conoscenza che la cosa appartenga ad altri, occorre che emerga da elementi oggettivi o comunque da indizi concreti che il vero proprietario abbia intenzione di rivendicare, in modo non apparentemente infondato, la cosa. Ne consegue che il semplice fatto che un bene immobile provenga da donazione e possa essere teoricamente oggetto di una futura azione di riduzione per lesione di legittima, esclude di per sè che esista un pericolo effettivo di rivendica e che il compratore possa sospendere il pagamento o pretendere la prestazione di una garanzia.”

CASO

[1] Con atto di citazione innanzi al Tribunale di Napoli Tizia, nella sua qualità di promissaria acquirente, chiedeva la risoluzione del contratto preliminare di compravendita con il quale i promissari alienanti si erano impegnati a venderle un immobile nonché la loro condanna alla restituzione del doppio della caparra. A sostegno della domanda Tizia esponeva che l’immobile era stato oggetto di donazione lesiva delle quote di legittima spettanti agli eredi necessari del donante e che non tutti gli eredi avevano dato la loro disponibilità ad intervenire in atto poiché uno di essi era interdetto. I convenuti resistevano alla domanda affermando che l’attrice era edotta della situazione dell’immobile e chiedevano, pertanto, l’accertamento dell’inadempimento della promissaria acquirente e la sua condanna al risarcimento del danno o, in via gradata, il loro diritto a trattenere la caparra ricevuta all’atto del preliminare.

Il Tribunale di Napoli accoglieva la domanda attorea, dichiarava risolto il contratto preliminare e condannava i convenuti alla restituzione della caparra respingendo ogni altra domanda.

La Corte d’Appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava legittimo il recesso esercitato dalla promissaria acquirente condannando gli appellanti al pagamento del doppio della caparra ricevuta oltre agli interessi. La Corte territoriale, in particolare, riteneva che nel preliminare non vi fosse menzione dell’esistenza di un erede interdetto dell’originario donante – dante causa dei promittenti venditori – e che detto erede avrebbe potuto agire contro l’acquirente per ottenere la restituzione dell’immobile ex art. 563 c.c.

Avverso la suddetta sentenza i promissari alienanti proponevano ricorso per Cassazione.

SOLUZIONE

[1] Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1385 c.c. e 1455 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3 nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c. n. 5. in quanto, nel caso di specie, mancherebbe l’inadempimento colpevole di non scarsa importanza posto che ambo le parti erano consapevoli delle reali condizioni dell’immobile le quali non erano ostative alla rogazione dell’atto di compravendita. Oltretutto i promittenti venditori avevano depositato una somma a mani del notaio che, in quanto atto non dovuto, costituiva una garanzia ulteriore per la promissaria acquirente.

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1481 e 1385 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte di Appello avrebbe erroneamente configurato un pericolo di evizione non concreto.

La Suprema Corte, muovendosi nel solco di un orientamento pressoché costante, ha accolto il ricorso affermando che il diritto di cui all’art. 1481 c.c., per cui il compratore può sospendere il pagamento del prezzo o pretendere la garanzia quando abbia ragione di temere che la cosa possa essere rivendicata da terzi, presuppone che il pericolo di evizione sia concreto, effettivo e attuale. Nel caso di specie il semplice fatto che un immobile provenga da una donazione e possa essere teoricamente oggetto di una futura azione di riduzione per lesione della quota di legittima esclude che esista un pericolo effettivo di rivendica.

Per tali ragioni la Corte ha cassato la sentenza e rinviato la causa alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.

QUESTIONI

[1] Tra i rimedi posti a tutela del compratore il legislatore ha predisposto la garanzia per evizione la quale consente al negozio di compravendita di realizzare la funzione economica-giuridica che l’art. 1470 c.c. gli riconosce ossia l’acquisto definitivo, da parte del compratore, della cosa o del diritto oggetto del trasferimento. Il venditore ha, quindi, l’obbligo di trasferire il bene libero da diritti altrui che ne possano pregiudicare il compimento da parte dell’acquirente. Dal punto di vista tecnico ricorre il fenomeno dell’evizione quando il compratore è privato, in tutto in parte, del diritto sul bene acquistato in conseguenza dell’accertato diritto di un terzo.

Il nostro codice, all’art. 1481 c.c., disciplina, inoltre, il semplice pericolo di evizione prevedendo che il compratore, quando ha ragione di temere che la cosa o una parte di essa possa essere rivendicata da terzi, possa sospendere il pagamento del prezzo, salvo che il venditore presti idonea garanzia e salvo che fosse a conoscenza del pericolo al momento dell’acquisto.

La giurisprudenza ha più volte affermato che il diritto previsto dall’art. 1481 c.c. – disposizione applicabile per analogia anche al contratto preliminare di compravendita –presuppone che il pericolo di evizione sia effettivo ossia non meramente presuntivo o putativo. (cfr. Cass. civ. 18 novembre 2011, n. 24340).

Nel caso di specie la promissaria acquirente si era rifiutata di sottoscrivere l’atto di compravendita dell’immobile, a seguito della stipula del preliminare di vendita, allegando un pericolo di evizione parziale derivante dal fatto che il bene era stato oggetto, in precedenza, di donazione lesiva delle quote di legittima spettanti agli eredi necessari del donante, tra i quali vi era un interdetto non intervenuto in atto.

Il pericolo di evizione allegato dalla stessa, pertanto, non era attuale, ma soltanto potenziale, poiché al momento fissato per la stipula del rogito definitivo non risultava proposta alcuna azione da parte del tutore dell’erede pretermesso tesa ad ottenere l’annullamento o l’inefficacia della vendita del cespite in questione.

Sulla base di queste considerazioni la Suprema Corte, nella sentenza in commento, ha ribadito il principio di diritto, oramai consolidato, secondo cui il pericolo di evizione di cui all’art. 1481 c.c. deve essere effettivo, concreto e attuale non potendo risolversi in un mero timore soggettivo che l’evizione possa verificarsi. Ed, inoltre, ha affermato che anche quando il promissario acquirente abbia conoscenza che la cosa appartenga ad altri occorre che emerga da elementi oggettivi, o comunque da indizi concreti, che il vero proprietario abbia intenzione di rivendicare, in modo non apparentemente infondato, la cosa.

Nel caso di specie, quindi, la Seconda sezione afferma che la mera provenienza dell’immobile da una donazione, pur se potenzialmente lesiva dei diritti dei legittimari, non integra di per sé un pericolo effettivo di evizione, occorrendo, invece, indizi concreti ed oggettivi dell’effettiva volontà di rivendica del bene da parte di terzi. (cfr. nello stesso senso Cass., civ. 17 marzo 1994, n. 2541; Cass. civ., 21 maggio 2012, n. 8002).

Né d’altra parte la consapevolezza, da parte della promissaria acquirente, circa la predetta provenienza dell’immobile è circostanza idonea, in assenza di altri elementi oggettivi, a legittimare il suo inadempimento o a consentirgli di chiedere la prestazione di idonea garanzia ai sensi dell’art. 1481 c.c.

La Suprema Corte rammenta, inoltre, che la giurisprudenza si è espressa seguendo la stessa linea interpretativa anche in relazione al fallimento del dante causa del promissario venditore di un immobile.

In questi casi, infatti, «l’astratta possibilità dell’esperibilità dell’azione revocatoria fallimentare, non giustifica, di per sè, l’esercizio, da parte del promissario acquirente, della facoltà di sospendere, ai sensi dell’art. 1481 c.c., l’esecuzione della propria prestazione, trattandosi di una facoltà che, sebbene concessa anche in presenza di pretese del terzo sull’oggetto del contratto, presuppone non il mero timore delle medesime, bensì che risulti concretamente la volontà del terzo di promuovere l’azione volta ad ottenere il riconoscimento dei suoi asseriti diritti sul bene e che la detta sospensione non sia contraria a buona fede, ricorrendo tale condizione allorché il pericolo di azioni siffatte si connoti per serietà e concretezza, sì da escludere la presenza di un pretesto dell’obbligato per rifiutare l’adempimento dovuto.» (Cass., civ. 22 giugno 1994, n. 5979; Cass., civ. 22 febbraio 2016, n. 3390).

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