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A seguito dell’adozione dei provvedimenti finalizzati a contrastare l’emergenza sanitaria che interessa il nostro Paese, il processo civile ha cambiato (temporaneamente) volto.

Con l’emanazione del decreto legge 8 marzo 2020, n. 11, prima, e del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, dopo, lo scenario è mutato sensibilmente; attualmente l’art. 83, comma 11, del decreto legge ultimo citato prevede infatti che “dal 9 marzo 2020 al 30 giugno 2020, negli uffici che hanno la disponibilità del servizio di deposito telematico anche gli atti e documenti di cui all’articolo 16-bis, comma 1-bis, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, sono depositati esclusivamente con le modalità previste dal comma 1 del medesimo articolo”. È noto che l’art. 1-bis del comma 16 bis d.l. 179 del 2012 contempla proprio tutta la categoria di atti e documenti soggetti al regime di deposito facoltativo, che dunque non sarà più possibile effettuare sino alla data indicata dal legislatore (30 giugno 2020).

La norma, dettata evidentemente al fine di assicurare il raggiungimento degli obiettivi di distanziamento sociale considerati dal legislatore una valida risposta per contrastare la pandemia, introduce pertanto un regime non solo di digital first ma di digital only nel rito processuale. Tale regime è però solo apparente e purtroppo la normativa di emergenza non può raggiungere in pieno gli obiettivi che si pone. Ad oggi, infatti il processo civile telematico non consente la produzione per via telematica di nessun formato audio o video, neppure se aperto o non proprietario, e di nessun formato collegato alla generazione di documenti nell’ambito della diagnostica clinica (soprattutto di quella per immagini – generalmente DICOM o HL7). Anche in questo periodo di esclusività della trattazione digitale, pertanto, laddove una parte avesse necessità di produrre in causa un documento avente formato “non consentito” dovrebbe comunque recarsi in cancelleria per depositare un cd-rom (o altro supporto). Questo è a tutta evidenza un punto critico che contrasta con la finalità, sopra già vista, di assicurare il cosiddetto “distanziamento sociale”, indicato dal mondo sanitario come strumento di maggior efficacia per rallentare la diffusione del COVID-19.

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