La fenomenologia del danno non patrimoniale e la questione dell’autonoma risarcibilità del danno morale
Cass. Civ., Sez. III, 17 gennaio 2018, n. 901 – Rel. Pres. G. Travaglino
Danno non patrimoniale; danno morale: autonoma risarcibilità; criteri risarcimento danno; funzione responsabilità civile.
In tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti, il giudice di merito, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l’aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo “in pejus” con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale), atteso che oggetto dell’accertamento e della quantificazione del danno risarcibile – alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (sent. n. 235 del 2014) e del recente intervento del legislatore (artt. 138 e 139 C.d.A., come modificati dalla legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 4 agosto 2017 n. 124) – è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti.
In tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico – inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali – e del danno cd. esistenziale, atteso che quest’ultimo consiste proprio nel “vulnus” arrecato a tutti gli aspetti dinamico-relazionali della persona conseguenti alla lesione della salute, mentre una differente ed autonoma valutazione deve essere compiuta, invece, con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute (c.d. danno morale), come confermato dalla nuova formulazione dell’art. 138, comma 2, lettera e) del d.lgs. n. 209 del 2005, nel testo modificato dalla l. n. 124 del 2017.
CASO
Una donna agisce in giudizio nei confronti del ginecologo curante e della struttura sanitaria per le lesioni subite a seguito di un intervento chirurgico (lesioni che, per le complicazioni susseguitesi, avrebbero determinato la definitiva incapacità procreativa della paziente).
Il giudizio viene promosso anche dal coniuge della vittima per il risarcimento del danno riflesso.
La vicenda ha un iter giudiziario piuttosto complesso e giunge in Cassazione già nel 2011, quando la S.C. cassa con rinvio la pronuncia di merito (ma per profili diversi da quelli che qui occupano).
La vertenza torna, dunque, in Corte d’Appello la quale, nel riquantificare il danno subito dalla vittima, nega espressamente la possibilità di liquidare autonomamente il danno morale (in particolare, nel caso di specie, era stato allegato e documentalmente provato un significativo danno psicologico) affermando che di esso si era già tenuto adeguatamente conto mediante la personalizzazione del danno biologico, sicché l’autonoma valutazione del pretium doloris avrebbe comportato un’indebita duplicazione risarcitoria.
La Cassazione, invece, con la pronuncia in commento, accoglie il ricorso e cassa nuovamente la pronuncia di merito, delineando i criteri per una corretta valutazione del danno non patrimoniale.
SOLUZIONE
La S.C. parte dalla natura unitaria e onnicomprensiva del danno non patrimoniale, così come predicata dalle S.U. di S. Martino del 2008 (Cass. Civ., 11.11.2008, n.26972-26975), per affermare che la natura unitaria si riferisce al fatto che non vi devono essere differenze nell’accertamento e nella liquidazione del danno in base al diritto costituzionalmente protetto che sia stato leso. La natura onnicomprensiva, invece, sta a significare che l’unitario risarcimento del danno non patrimoniale deve tener conto di tutte le conseguenze dannose dell’evento, con il limite di evitare duplicazioni risarcitorie, attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, e con il requisito che venga superata la cd. soglia di risarcibilità, al di sotto della quale il danno è considerato bagatellare e non meritevole di risarcimento.
Ma nel rispetto di tali criteri, la liquidazione del danno non patrimoniale deve tener conto della cd. fenomenologia del danno alla persona, ossia di tutti gli aspetti attraverso i quali si manifesta la sofferenza umana, al di là del ricorso ad astratte tassonomie classificatorie che, per usare le parole del Relatore, portano al rischio “di sostituire una meta-realtà giuridica ad una realtà-fenomenica”.
Così, occorre considerare la duplice essenza del danno alla persona: da un lato, la sofferenza interiore, ossia il danno morale (pregiudizio che andrà valutato in tutti i suoi aspetti, quali il dolore, la vergogna, il rimorso, la disistima di sé, la malinconia, la tristezza); dall’altro, la significativa alterazione della vita quotidiana, ossia il danno esistenziale o alla vita di relazione.
Si tratta, infatti, dei due aspetti essenziali attraverso i quali si esplica la sofferenza umana, il primo all’interno della vittima, il secondo all’esterno.
Tali pregiudizi, secondo la S.C., sono “danni diversi e perciò solo autonomamente risarcibili”, seppur con una fondamentale differenza. Quando sussiste un danno alla salute medicalmente accertato, il danno esistenziale si salda all’interno del danno biologico e dev’essere liquidato unitamente ad esso mediante un adeguato incremento personalizzato. Infatti, è la definizione stessa di danno biologico a imporre tale soluzione (l’art. 138 Cod. Ass., definisce il danno biologico come quella lesione all’integrità psico-fisica della persona che esplica una incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato).
Diverso è il discorso per il danno morale: si tratta, infatti, di un pregiudizio autonomamente risarcibile, a prescindere dal fatto che vi sia o meno un danno biologico. Le due voci di danno (biologico e morale) sono diverse e l’autonoma liquidazione del danno morale non comporta alcuna duplicazione risarcitoria, sempre che, naturalmente, il pregiudizio sia adeguatamente allegato e provato (se del caso anche mediante presunzioni), dovendosi respingere qualunque automatismo risarcitorio.
Una conferma della ricostruzione testé enunciata si troverebbe in alcuni riferimenti normativi e giurisprudenziali.
Viene a tal proposito citato l’art. 612 bis del codice penale (norma che, nel disciplinare il reato di atti persecutori, individua separatamente le conseguenze della condotta dello stalker sia nel perdurante e grave stato di ansia e paura cagionato nella vittima, sia nell’alterazione delle abitudini di vita della stessa).
Inoltre, vengono riprese alcune considerazioni della Corte Costituzionale (Corte Cost., 16.10.2014, n. 235), la quale, nell’occuparsi della possibile illegittimità costituzionale dell’art. 139 Cod. Ass. (disposizione relativa alle c.d. microlesioni), ha affermato che “la norma denunciata non è (…) chiusa, come paventano i rimettenti, alla risarcibilità anche del danno morale” e la limitazione ex lege dell’eventuale liquidazione del danno morale si giustifica in virtù di un bilanciamento tra diversi interessi in gioco (in particolare l’esigenza degli assicurati di avere premi assicurativi di un livello accettabile e sostenibile) ed attiene, comunque, “al solo specifico e limitato settore delle lesioni di lieve entità”.
Peraltro, anche le recenti modifiche dell’art. 138 Cod. Ass. (attuate con la l. 4.8.2017 n. 124) confermano il fatto che anche il legislatore abbia voluto cogliere le sollecitazioni di codesta giurisprudenza. Nella norma novellata, infatti, non si parla più (nella rubrica) di danno biologico, bensì di danno non patrimoniale (così spostando l’attenzione anche sui pregiudizi diversi dal danno biologico); inoltre, si precisa che il danneggiato ha diritto a un risarcimento pieno e si contempla espressamente il risarcimento del danno morale.
Alla luce di tali considerazioni, la S.C. rimarca, dunque, la necessità di compiere una nuova ed adeguata valutazione di tutti i danni subiti dai ricorrenti.
Anche per quanto riguarda il danno riflesso subito dal marito della danneggiata, liquidato in € 4.138,66, la Cassazione afferma che, tenuto conto della grande sofferenza del soggetto (il quale ha visto venir meno il suo diritto a una procreazione biologica e alla creazione di una famiglia in cui vi fossero figli naturali), la liquidazione operata dai giudici di merito risulta meramente simbolica, se non addirittura offensiva per la dignità della persona nella sua dimensione di aspirante genitore biologico.
QUESTIONI
Risulta evidente come l’orientamento qui esposto apra un varco di non scarso rilievo a modalità alternative di liquidazione del danno non patrimoniale, non più basate sulla semplice personalizzazione del danno biologico, ma che presuppongono, sin dal principio, voci di danno distinte e autonomamente risarcibili, anche al di fuori dei consueti criteri tabellari.
Peraltro, è opportuno rilevare che la pronuncia in commento non è affatto isolata, ma si inserisce nel solco di un ben più ampio trend di pronunce della S.C. che, di fatto, stanno mettendo in crisi il “tradizionale” impianto risarcitorio delineato dalle sentenze di S. Martino del 2008 (pronunce che costituiscono ancora oggi il cd. “statuto” del danno non patrimoniale).
Così, in primo luogo, occorre segnalare che il Consigliere Travaglino è fautore di codesto filone giurisprudenziale già da alcuni anni (v., ad es., Cass. Civ., 12.9.2011, n. 18641, Cass. Civ., 20.11.2012, n. 20292, Cass. Civ., 3.10.2013, n. 22585, Cass. Civ., 9.6.2015, n. 11851, nonché Cass. Civ., 20 aprile 2016, n.7766). Ma, soprattutto, tale orientamento è stato negli anni accolto, seppur con differenti sfumature, da diversi altri Relatori (v., ad es., Cass. Civ., 22.9.2015, n.18611 – Rel. Petti; Cass. Civ., 20.11.2015, n. 23793 – Rel. Manna; Cass. Civ., 4.2.2016, n.2167 – Rel. Scarano; Cass. Civ., Sez. Lav., 15.1.2016, n. 583 – Rel. Bronzini).
Inoltre, dopo la pronuncia qui commentata, altri importanti arresti hanno aderito a tale impostazione, sicché può affermarsi che l’orientamento in questione risulta oggi largamente condiviso, perlomeno all’interno della terza Sezione della Corte di Cassazione (per un approfondimento v., ex multis, Ponzanelli, Danno non patrimoniale: l’abbandono delle Sezioni Unite di San Martino, in Danno e Resp., 2018, 4, 467-469).
In particolare, l’ordinanza Cass. Civ. 27.3.2018 n. 7513 – Rel. Rossetti, la quale contiene un vero e proprio decalogo per il risarcimento del danno non patrimoniale, contempla tra i suoi principi (ai punti 8 e 9) i seguenti criteri:
“8) in presenza d’un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale (…), rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).
9) ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l’esistenza d’uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (come è confermato, oggi, dal testo degli artt. 138 e 139 cod. ass. (…) nella parte in cui, sotto l’unitaria definizione di “danno non patrimoniale”, distinguono il danno dinamico relazionale (…) da quello “morale”.
E una ancor più recente pronuncia del maggio di quest’anno (Cass. Civ., 31.5.2018, n. 13770 – Rel. Di Florio), riprende la sentenza n. 901/2018 per affermare che “il danno biologico (…), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico relazionale (altrimenti definibile “esistenziale”, e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane nei suoi vari aspetti inclusi quelli che attengono alla sfera sessuale) costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili. Il giudice di merito, in relazione ad una visione complessiva della persona e sulla base di prove anche presuntive, deve determinare il ristoro del pregiudizio subito senza incorrere in vuoti risarcitori riferibili, anche al mancato riconoscimento delle ripercussioni sulla vita privata, contrastanti con l’art. 32 Cost e con i principi affermati dagli artt. 3 e 7 della Carta di Nizza recepita dal Trattato di Lisbona e dall’art. 8 della CEDU”.
Orbene, l’orientamento qui esaminato ha indubbiamente dei punti di forza che devono essere accolti con favore, specialmente laddove rimarca la necessità di prendere in considerazione tutti gli aspetti della sofferenza umana, evidenziando l’ontologica autonomia del danno morale.
Del resto, le S.U. di San Martino non hanno mai predicato un assorbimento del danno morale nel danno biologico (il che avrebbe portato ad una sorta di tacita abrogazione dello stesso), quanto, piuttosto, la necessità di procedere ad una liquidazione unitaria per evitare duplicazioni risarcitorie.
Ma è evidente che il rischio di duplicazioni risarcitorie non può portare ad oscurare voci di danno pienamente risarcibili.
D’altro canto, non possono non evidenziarsi i rischi insiti in questa “nuova” concezione del danno non patrimoniale. In particolare, un’incondizionata adesione da parte dei giudici di merito a codesto indirizzo giurisprudenziale porta con sé il pericolo di una vera e propria “deriva” verso risarcimenti totalmente svincolati dai consueti parametri di riferimento e, dunque, profondamente diversificati da una Corte all’altra, oltre che imprevedibili.
Pertanto, se veramente è questa la direzione verso la quale intende andare la giurisprudenza di legittimità nella configurazione dei criteri per il risarcimento del danno alla persona, è quanto mai opportuno un ulteriore intervento chiarificatore che delinei in modo preciso i contorni del danno non patrimoniale e i criteri da adoperarsi per la sua corretta liquidazione.
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