La soggezione a fallimento delle società di capitali trasformate in comunione d’azienda
Cass. civ. Sez. I, Sent. 19 giugno 2019, n. 16511. Pres. Genovese- Rel. Amatore
Parole chiave: Dichiarazione di fallimento – Trasformazione eterogenea – Comunione d’azienda- Fallibilità
Massima
La trasformazione eterogenea – caratterizzata dal passaggio da una società di capitali a una comunione di godimento di un’azienda o, comunque, da una società in un’impresa individuale – configura un fenomeno successorio ed estintivo tra soggetti distinti, giacché persona fisica e persona giuridica si distinguono per natura e forma.
Ne discende, quindi, che la nascita di una comunione indivisa tra due o più persone fisiche non preclude, ai sensi dell’art. 10, comma 1, l. fall., la dichiarazione di fallimento della società entro il termine di un anno dalla sua eventuale cancellazione dal registro delle imprese.
Disposizioni applicate
Art. 10 l. fall.; art. 2500-septies cod. civ.; art. 2248 cod. civ.
Con la sentenza n. 16511/2019 in commento, la Suprema Corte, Sezione sesta civile, affronta il tema della fallibilità delle società trasformate in comunione d’azienda ex art. 2500-speties cod. civ.
In particolare, la Corte si sofferma sulla natura e sugli effetti derivanti dalla trasformazione eterogenea, domandandosi se, per effetto di tale fenomeno, l’esercizio dell’impresa debba o meno ritenersi cessato, con conseguente inapplicabilità del citato art. 10, comma 1, l. fall.
Caso
Con sentenza in data 17 gennaio 2018, la Corte di Appello di Napoli confermava integralmente la sentenza con cui il giudice di prime cure aveva dichiarato, in data 4 agosto 2017, il fallimento della società (OMISSIS) s.r.l., società cancellata dal Registro delle Imprese di (OMISSIS) per effetto di trasformazione eterogenea in comunione d’azienda ai sensi dell’art. 2500-speties cod. civ.
Nel dettaglio, la trasformazione aveva preceduto il fallimento, essendo stata deliberata in data 24 maggio 2017, con iscrizione nel Registro delle Imprese di (OMISSIS) in data 28 luglio 2017 e conseguente cancellazione della società.
Soluzione
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso e confermato la sentenza resa dalla Corte d’Appello di Napoli, evidenziando come nel caso di specie i requisiti per l’applicabilità dell’art. 10, comma 1, l. fall., dovessero ritenersi sussistenti. Ad avviso della Corte, infatti, la trasformazione eterogenea aveva prodotto un effetto successorio ed estintivo, sancendo il passaggio da un ente avente forma societaria ad una comunione su un complesso di beni aziendali.
Questioni applicate nella pratica
La pronuncia in esame offre l’occasione di approfondire il tema dei presupposti che l’art. 10 l. fall. richiede ai fini della sua applicabilità. In particolare, sono almeno due gli aspetti meritevoli di approfondimento, su cui si fonda la decisione, ossia: (i) la configurabilità dell’esercizio di un’impresa commerciale nel caso di comunione d’azienda; (ii) la natura giuridica e gli effetti della trasformazione societaria eterogenea ai sensi dell’art. 2500-speties cod. civ.
In merito al primo aspetto l’art. 10 l. fall., come noto, trova applicazione con riferimento alle figure dell’imprenditore individuale e collettivo. Ebbene, con specifico riferimento alla figura della comunione di godimento d’azienda, la giurisprudenza di legittimità ha a più riprese affrontato il tema della configurabilità dell’esercizio di un’impresa collettiva.
In proposito, l’art. 2248 cod. civ. sembrerebbe prima facie escludere la configurabilità dell’esercizio di un’impresa collettiva, ove dispone che la mera comunione di godimento di una o più cose sia regolata, in via esclusiva, dalle norme dettate in tema di comunione ex artt. 1100 e ss. cod. civ.
Sennonché, la giurisprudenza di legittimità ha a più riprese avuto modo di chiarire come il dettato dell’art. 2248 cod. civ., in realtà, non escluda, in astratto, l’esercizio di un’impresa collettiva nel caso di una comunione d’azienda “ove il godimento di questa si realizzi mediante il diretto sfruttamento della medesima da parte dei partecipanti alla comunione”. Invero, la Corte ha in tali casi sostenuto come “(l)’ elemento discriminante tra comunione a scopo di godimento e società (sia) … costituito dallo scopo lucrativo perseguito tramite un’attività imprenditoriale che si sostituisce al mero godimento ed in funzione della quale vengono utilizzati beni comuni” (cfr. Cass., 6.2.2009 n. 3028; Cass. 27.11.1999 n. 13291; Cass. 3.4.1993 n. 4053; Cass. 10.11.1992 n. 12087; Cass. 20.2.1984 n. 1251).
Ulteriore elemento di cui occorre tener conto ai fini di tale valutazione è, poi, rappresentato dalla individuazione dei soggetti che, in concreto, assumono “l’effettiva gestione dell’attività commerciale e la relativa veste imprenditoriale”. Con la conseguenza che, in caso di contitolarità di beni in godimento, solo chi ne ha, in concreto, assunto la gestione attiva sarà riconducibile alla categoria dell’imprenditore commerciale, “mentre gli altri ne restano estranei” (Cass., 4.6.1997, n. 4986. Conforme Cass 17.11.2000, n. 14889).
Il secondo profilo che merita approfondimento attiene, invece, alla natura giuridica del fenomeno della trasformazione eterogenea ex art. 2500-septies cod. civ. e agli effetti che ne derivano.
Al riguardo, va premesso come l’art. 10 l. fall. presupponga il verificarsi di un fenomeno estintivo in capo alla società verso cui si chiede il fallimento.
Coerentemente con tale impostazione, la trasformazione eterogenea di una società di capitali in impresa individuale dà sempre luogo ad un rapporto di successione tra soggetti distinti, “perché persona fisica e persona giuridica si distinguono appunto per natura non solo per forma” (così Cass. 19.6.2019, n. 16511. Sul punto, v. anche Cass. 30.1.1997, n. 965).
Diversamente, nell’ipotesi di trasformazione omogenea da società di capitali a società di persone e viceversa, il mutamento del tipo sociale non determina l’estinzione della persona giuridica, configurando così “una vicenda meramente evolutivo-modificativa del medesimo soggetto, la quale comporta soltanto una variazione di assetto e di struttura organizzativa, senza incidere sui rapporti processuali e sostanziali facenti capo all’originaria organizzazione societaria” (cfr. Cass 19.5.2016, n. 10332; Cass. 20.6.2011, n. 13467).
Le considerazioni che precedono inducono, pertanto, a ritenere che il fenomeno della trasformazione eterogenea non precluda la dichiarazione di fallimento della società, purché questa avvenga nel termine di un anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese.
In conclusione, aderendo a questa impostazione, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e confermato la sentenza della Corte d’Appello di Napoli, che aveva ritenuto l’art. 10 l. fall. applicabile al caso di specie.
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