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Corte d’Appello Roma, 17 Maggio 2018. Est. Gentile

Mediazione immobiliare – Provvigione – Iscrizione al ruolo dei mediatori – Soggetti tenuti (art. 1755 c.c.; artt. 2 e 6 L. 03/02/1989, n. 39; art. 73 D. lgs 26/03/2010, n. 59)

[1] Ai fini del riconoscimento del diritto alla provvigione, gli ausiliari del mediatore o di una società di mediazione sono tenuti all’iscrizione nel ruolo (secondo la previgente disciplina, mentre oggi sono soggetti a segnalazione certificata di inizio di attività, da presentare alla competente Camera di commercio) solo quando ad essi risulti assegnato il compito di vere e proprie attività di mediazione in senso proprio, della quale compiono gli atti a rilevanza esterna, con efficacia nei confronti dei soggetti intermediati, e impegnativi per l’ente da cui dipendono, mentre l’iscrizione non è richiesta per quei dipendenti che esplicano attività accessoria e strumentale a quella di vera e propria mediazione, in funzione di ausilio ai soggetti a ciò preposti (massima non ufficiale).

CASO

[1] Alfa Srl conveniva in giudizio Tizio, al fine di ottenerne la condanna al pagamento della provvigione maturata a seguito dell’attività di mediazione posta in essere dalla prima e finalizzata all’acquisto di un immobile.

Tizio si costituiva in giudizio contestando l’assunto attoreo e affermando di non essere stato messo in contatto con la proprietaria dell’immobile dalla società attrice.

Il Tribunale, pur escludendo l’esistenza di un’attività di mediazione da parte dell’attrice, le riconosceva un importo forfettario in considerazione dell’ “avvantaggiamento” di cui avrebbe beneficiato il convenuto per effetto dell’attività svolta dalla società.

Avverso la predetta sentenza proponeva appello Alfa srl con una serie di motivi, di cui veniva richiesto il rigetto da parte di Tizio, che proponeva a sua volta appello incidentale al fine di ottenere l’accertamento dell’inesistenza di qualsivoglia diritto alla provvigione in capo alla società.

SOLUZIONE

[1] La Corte d’appello, con la sentenza in commento, accoglie l’appello principale e rigetta quello incidentale.

QUESTIONI

La questione di più rilevante interesse che si trova ad affrontare la Corte attiene all’individuazione, in concreto, del soggetto che deve essere iscritto al ruolo dei mediatori (secondo la disciplina applicabile ratione temporis) per far sì che gli venga riconosciuto il diritto alla mediazione.

Un passo indietro.

Anzitutto, sappiamo che sino alla fine degli anni ’80 poteva essere mediatore – e quindi poteva vantare il diritto al pagamento di un compenso – chiunque si adoperasse, anche occasionalmente, al fine di consentire la conclusione di un affare.

Sul finire degli anni ’80, il legislatore, però, rispondendo alle sollecitazioni provenienti dalla società civile, con un cambio di rotta, ha richiesto ai mediatori (con la legge n. 39 del 1989) un requisito di carattere formale, cioè l’iscrizione nell’apposito ruolo istituito presso ciascuna Camera di Commercio, previa dimostrazione del possesso di determinati requisiti. Ciò a fini sociali e a tutela dell’interesse pubblico, affinché l’attività di mediatore sia svolta esclusivamente da persone in possesso di particolari cognizioni tecniche, anche alla luce della responsabilità del mediatore quanto all’obbligo sullo stesso gravante – a norma dell’art. 1759 c.c. – di comunicare alle parti circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare.

L’iscrizione a ruolo condiziona il diritto alla provvigione (art. 6 l. 39/1989), per cui ben si comprende come sia onere del mediatore dimostrare di essere iscritto nel ruolo, over intenda fa valere il diritto al compenso per l’attività svolta.

L’art. 73 d.lgs n.59 del 26/03/2010 ha poi soppresso il ruolo dei mediatori, ma la situazione è rimasta immutata, perché il legislatore non ha inteso liberalizzare l’esercizio di detta attività e si è invece limitato a sostituire l’iscrizione al ruolo con la segnalazione certificata di inizio attività alla Camera di Commercio, previa dimostrazione del possesso dei medesimi requisiti richiesti in precedenza.

Restano attuali, quindi, tutte le questioni che già in precedenza si erano poste in relazione alla l. n. 39/89, tra cui quella oggetto di approfondimento dalla sentenza in esame.

Posto cioè che l’attività di mediatore può essere svolta in forma societaria e posto altresì che, in questo caso, deve essere iscritto al ruolo (ora deve essere inviata la segnalazione certificata di inizio attività, ma continueremo a parlare di iscrizione al ruolo per comodità) la società o il suo legale rappresentante (ma non a titolo personale, come persona fisica, non essendo sufficiente l’iscrizione, in questo caso, a far sorgere in capo alla società il diritto alla provvigione), viene da chiedersi chi altro debba possedere i requisiti ed essere pertanto iscritto al ruolo dei mediatori. Il quesito si pone in particolare per i collaboratori di cui l’ente si avvale (ma la domanda non muta ove si consideri che anche il mediatore persona fisica si giova normalmente dell’opera di collaboratori).

La Corte d’appello interviene proprio su questo punto e, allineandosi ad altri precedenti giurisprudenziali, opera una distinzione, tra gli ausiliari del mediatore o di una società di mediazione cui risulti assegnato il compimento di vere e proprie attività di mediazione in senso proprio, cioè di atti a rilevanza esterna, con efficacia nei confronti dei soggetti intermediati e impegnativi per l’ente da cui dipendono e gli ausiliari che esplicano attività accessoria e strumentale a quella di vera e propria mediazione, in funzione di ausilio ai soggetti a ciò preposti.

Solo nel primo caso, si ritiene necessaria l’iscrizione al ruolo anche del collaboratore – in funzione della rilevanza dell’attività compiuta e di quell’interesse pubblico che ha portato il legislatore a istituire il ruolo –, non invece nel secondo, in ragione del fatto che in questo caso non vi è una particolare esigenza di tutela della parte. In effetti, se e nella misura in cui il collaboratore si astiene dall’attività tipica di costui (che è quella di agevolare la conclusione dell’affare), non sembrano esservi ragioni per imporre il rispetto del requisito formale.

Si tratta evidentemente di una conclusione che lascia aperti margini di dubbio e impone una soluzione, come si suol dire, caso per caso, ma che presente il pregio di non irrigidire l’esercizio di una attività che, altrimenti, verrebbe ad essere irragionevolmente compressa.

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