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Cass. civ., sez. III, 28 giugno 2019, n. 17443 – Pres. Vivaldi – Rel. Scoditti

[1] Responsabilità civile – Amministrazione pubblica – Opere pubbliche – Strade responsabilità del custode – Accertamento del nesso causale tra cosa ed evento – Prova liberatoria – Caso fortuito – Fattispecie per danni da cose in custodia – Nesso causale – Imprudenza

(Cod. civ. artt. 1227; 2051).

[1] “Il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, è connotato dall’esclusiva efficienza causale nella produzione dell’evento; a tal fine, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227 c.c., comma 1; e deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost. Pertanto, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale.”

CASO

[1] Tizio conveniva in giudizio innanzi al Tribunale il Comune X chiedendo il risarcimento del danno determinato dalla caduta a causa della presenza, sul manto stradale, di una buca non visibile. Il giudice di prime cure accoglieva la domanda attorea condannando l’ente comunale al ristoro di 45 mila euro circa.

Avverso tale pronuncia il Comune X proponeva appello. La Corte territoriale, premesso che la violazione del dovere di cautela da parte del danneggiato, in presenza di cosa potenzialmente pericolosa, rappresenta caso fortuito idoneo ad interrompere il nesso di causalità fra la cosa e l’evento dannoso e, ferma la situazione di dissesto della strada, affermava che nel giudizio di primo grado era emerso che Tizio conoscesse bene lo stato dei luoghi. Il giudice del gravame, quindi, rilevava la violazione del dovere di cautela da parte del danneggiato il quale, edotto delle condizioni della strada, avrebbe dovuto tenere un comportamento più diligente. La sua condotta imprudente, pertanto, veniva considerata tale da interrompere il nesso eziologico tra la cosa (la strada dissestata) e l’evento dannoso (la caduta) e, pertanto, al danneggiato non veniva riconosciuto alcun risarcimento.

Quest’ultimo, allora, ricorreva in Cassazione.

SOLUZIONE

[1] Con unico motivo di ricorso Tizio, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., ha censurato la sentenza impugnata osservando che la Corte d’appello non aveva valutato le risultanze istruttorie in base alle quali era emerso che Tizio si recava nel luogo dell’incidente solo una volta all’anno nel periodo estivo; che le buche non erano visibili perchè coperte da foglie e piene d’acqua e che la strada non era illuminata. Tali circostanze, a detta del ricorrente – ove valutate – avrebbero fatto venir meno qualsiasi concorso del danneggiato e, parimenti, avrebbero escluso l’esistenza del caso fortuito.

La Suprema Corte ha valutato il motivo inammissibile affermando che sotto le spoglie della denuncia della violazione di legge il ricorrente in realtà mira alla revisione del giudizio di fatto – senza passare peraltro attraverso la denuncia del vizio motivazionale – la cui valutazione è preclusa in sede di legittimità. Il ricorrente si limita, infatti, a giustapporre all’apprezzamento del giudice di appello una diversa ricostruzione del merito della controversia. Oltretutto secondo la Corte anche laddove si volesse ravvisare nella censura mossa dal ricorrente la denuncia di un omesso esame di fatti decisivi e controversi comunque non risulterebbe rispettato l’onere processuale di indicazione del “fatto storico”, il cui esame sarebbe stato omesso, del “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, del “come” e del “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”. (Cass. civ. SS.UU. 4 aprile 2014 n. 8043).

Poste queste premesse la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso ribadendo la propria giurisprudenza in materia di responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c. ravvisando nella condotta imprudente del danneggiato (ossia la violazione del dovere di cautela) la causa effettiva del danno idonea ad interrompere il nesso eziologico tra fatto ed evento.

QUESTIONI

[1] L’art. 2051 c.c. rubricato «Danno cagionato da cosa in custodia» stabilisce che «Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito». L’art. 2051 c.c., in altre parole, pone a carico del custode l’obbligo di risarcire i danni cagionati a terzi dalla res custodita salvo il caso fortuito.

Elementi essenziali di questa ipotesi di responsabilità sono la cosa, il custode e il danno da prodotto dalla cosa (o perché questa sia per intrinseca natura suscettibile di produrlo ovvero perché siano insorti agenti dannosi).

In passato la giurisprudenza tendeva ad escludere l’applicabilità della norma nei casi di beni, facenti parte del demanio pubblico (tra cui rientra il demanio stradale), rispetto ai quali, a causa dell’estensione e dell’uso generalizzato e diretto da parte dei terzi, non fosse possibile svolgere i doveri di vigilanza posti a carico del custode (Cass. civ. SS.UU. 5 settembre 1997 n. 8588). Tale orientamento si basava sulla considerazione che la predetta categoria di beni non potesse essere sottoposta ad una idonea custodia della P.A.  Di conseguenza si poteva applicare l’art. 2051 soltanto se l’estensione dei beni demaniali era tale da consentire l’esercizio di un continuo ed efficace controllo volto ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per i terzi (Cass. civ. 23 gennaio 2009 n. 1691).

Si riteneva, quindi, applicabile l’art. 2051 nei confronti della P.A. per i beni demaniali – quali le strade pubbliche – solamente quando, per le ridotte dimensioni, ne era possibile un efficace controllo ed una costante vigilanza tale da impedire l’insorgenza di cause di pericolo per gli utenti (Cass. civ. 26 settembre 2006 n. 20827).

La giurisprudenza oggi, invece, è orientata ad affermare un più pregnante dovere di custodia delle strade in capo alla P.A. (Cass. civ. 20 febbraio 2019 n. 4963).

Gli enti proprietari delle strade, ai sensi dell’art. 14, D.Lgs. 30.4.1992, n. 285, infatti, devono provvedere: a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e delle relative pertinenze; c) all’apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta.

Trattasi di obbligo derivante dal mero fatto di essere proprietari il quale può concorrere con ulteriori obblighi (e, quindi, con ulteriori cause di responsabilità) del medesimo ente o di altri, derivanti da altre normative e, in particolare, dalla disciplina dettata dall’art. 2051 c.c. (Cass. civ. 22 aprile 2010 n. 9527).

Sussiste, quindi, la responsabilità della P.A., nella gestione e manutenzione dei beni che ad essa appartengono, per violazione delle regole tecniche, ovvero dei canoni di diligenza e prudenza, ma anche ove la domanda sia volta a conseguire la condanna della P.A. ad un facere giacché la domanda investe un’attività soggetta al rispetto del principio del neminem laedere (Cass. civ. 4 aprile 2019 n. 9318).

In particolare in caso di sinistro a seguito di non corretta manutenzione del manto stradale da parte dell’ente preposto alla sua tutela quest’ultimo si presume responsabile ex art. 2051 c.c. per i danni causati dalla particolare conformazione della strada o delle sue pertinenze e siffatta responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, consistente nell’alterazione dello stato dei luoghi imprevista, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile o segnalabile ai conducenti neppure con l’uso dell’ordinaria diligenza.

La responsabilità è, inoltre, esclusa ove l’utente danneggiato abbia tenuto un comportamento colposo tale da interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso ovvero diminuita, ai sensi dell’art. 1227, 1° co., qualora tale comportamento integri soltanto un concorso di colpa idoneo a ridimensionare, in proporzione dell’incidenza causale, la responsabilità della P.A.

Ai fini della responsabilità ex art. 2051 c.c., quindi, il comportamento colposo del pedone, in taluni casi, può qualificarsi come elemento interruttivo del nesso causale.

A tal fine, tuttavia, non è sufficiente qualsiasi comportamento negligente o imprudente, ma è onere del custode dimostrare l’esclusione di qualunque collegamento fra il modo di essere della cosa (il dissesto della strada come nel caso in esame) e l’evento dannoso (la caduta), così da individuare la causa esclusiva del danno nella condotta del danneggiato e da far recedere la condizione della cosa in custodia a mera occasione o “teatro” della vicenda produttiva di danno (Cass. civ. 1° febbraio 2018 n. 2479).

La valutazione dell’efficienza causale della condotta del danneggiato va effettuata tenendo conto di quanto la situazione di danno fosse prevedibile e superabile con l’adozione delle ordinarie cautele impiegabili in circostanze analoghe (Cass. sent. 2477, 2478, 2479, 2480, 2481, 2482 del 2018).

L’art. 2051 c.c. impone un criterio oggettivo di imputazione della responsabilità in capo al custode fondato sul dovere di precauzione imposto al titolare della signoria sulla cosa custodita, in funzione di prevenzione dei danni che da essa possono derivare tuttavia, del pari, sussiste un equivalente dovere di cautela in capo a chi entri in contatto con la cosa, in virtù del principio di solidarietà (art. 2 Cost.), che impone al soggetto di adottare «condotte idonee a limitare entro limiti di ragionevolezza gli aggravi per i terzi, in nome della reciprocità degli obblighi derivanti dalla convivenza civile».

Alla luce di tutte queste considerazioni la Suprema Corte, ribadendo un principio affermato costantemente dalla giurisprudenza, afferma che la condotta del danneggiato, che entra in interazione con la cosa, deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost. E, pertanto, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale (v. Cass. civ. 1° febbraio 2018, n. 2477, 2478, 2479, 2480, 2481 e 2482).

Nel caso di specie, quindi, la Suprema partendo dal presupposto che il giudice di merito aveva accertato che il grave stato di dissesto della strada era noto al danneggiato ha affermato che tale circostanza qualifica in senso particolare la fattispecie nel senso che, essendo il danneggiato consapevole delle condizioni di dissesto, quest’ultimo aveva il dovere di adottare tutte le cautele richieste dalle circostanze del caso.

La terza sezione, quindi, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato il ricorso affermando che la condotta imprudente del danneggiato è stata la causa effettiva del danno idonea ad interrompere il nesso eziologico tra fatto ed evento.

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