Nozione di agente, procacciatori di affari e obbligo di pagare i contributi all’Enasarco
Corte di cassazione, Sezione Lavoro, n. 16565 del 31 luglio 2020
Parole chiave
Contratto di agenzia – Contratto di procacciamento d’affari – Carattere di stabilità del rapporto – Obbligo di pagare i contributi all’Enasarco
Massima
In tema di obbligo di pagamento dei contributi all’Enasarco, la figura del procacciatore d’affari non può essere assimilata a quella dell’agente, poiché il rapporto di procacciamento d’affari non è caratterizzato da quella stabilità che è invece tipica della nozione di contratto di agenzia, con la conseguenza che il procacciatore d’affari non è tenuto al pagamento dei contributi all’Enasarco.
Disposizioni applicate
Art. 1742 c.c. (nozione di contratto di agenzia)
CASO
La Fondazione Enasarco ingiunge a una società di capitali di pagare € 206.598,21 per contributi, somme aggiuntive, FIRR, per il periodo dal 2003 al 2008, basandosi su un verbale ispettivo che aveva ritenuto l’attività di fatto svolta da otto procacciatori e da sette incaricati della vendita a domicilio da ricondursi a quella di agenzia commerciale.
La questione giunge, dopo il primo grado, in corte d’appello. Secondo la Corte di appello di Roma non risulta dimostrato in modo univoco che i collaboratori, con contratto di procacciatore d’affari, avessero specifici obblighi contrattuali e vincoli di promuovere affari per conto della preponente e fossero collegati a una determinata zona. La Corte di appello osserva che la continuità delle fatture e del loro importo, seppur potenzialmente sintomatici di un rapporto di agenzia, non possono essere sovrapposti all’ulteriore requisito della stabilità che comporta non solo la raccolta e la trasmissione di propria iniziativa degli ordini dei clienti, ma implica un permanente coordinamento con il preponente in termini di istruzione, programmazione, assistenza ai clienti. La Corte di appello sottolinea che è anomala, rispetto all’ordinario contratto di agenzia, la percezione di provvigioni indirette anche in assenza di attività produttiva di provvigioni dirette con la conseguenza che, valutati i suddetti elementi indiziari, in presenza di significativi elementi di segno contrario, essi non sono tali da determinare una qualificazione giuridica del rapporto diversa da quella considerata fra le parti e compatibile con lo schema contrattuale scelto.
SOLUZIONE
La Corte di cassazione conferma la decisione della Corte di appello di Roma. Secondo la Cassazione caratteri distintivi del contratto di agenzia sono la continuità e la stabilità dell’attività dell’agente nell’ambito di una determinata sfera territoriale, realizzando in tal modo con quest’ultimo una non episodica collaborazione professionale autonoma con risultato a proprio rischio e con l’obbligo di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo.
Invece il rapporto di procacciatore d’affari si concreta nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità e in via del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all’imprenditore da cui ha ricevuto l’incarico di procurare tali commissioni. Mentre la prestazione dell’agente è stabile, avendo egli l’obbligo di svolgere l’attività di promozione dei contratti, la prestazione del procacciatore è occasionale nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa.
QUESTIONI
L’Enasarco, quale cassa previdenziale e pensionistica, ha interesse ad ampliare il novero dei soggetti che sono obbligati a versare i contributi. È in questo contesto che va collocata l’ordinanza della Corte di cassazione in commento. L’obbligo di pagamento dei contributi fa capo a chi debba qualificarsi come “agente”, non a figure professionali diverse. Nel caso di specie il contratto intercorre fra una società e “procacciatori di affari”. Si tratta dunque di comprendere se i procacciatori di affari possano essere qualificati come agenti.
Va premesso che il contratto di procacciamento d’affari non è espressamente disciplinato dal codice civile, ma è stato sviluppato nella prassi commerciale. Con detto contratto vengono disciplinati i rapporti con i soggetti che collaborano in via occasionale con l’imprenditore nella vendita dei suoi prodotti, mediante la raccolta e la trasmissione all’imprenditore di ordini di acquisto.
Dal punto di vista dell’attività materiale svolta, quella di procacciatore assomiglia molto all’attività degli agenti. La differenza, secondo l’orientamento giurisprudenziale, sta nella “occasionalità” del lavoro del procacciatore, diversa dalla “stabilità” del lavoro dell’agente. L’art. 1742 comma 1 c.c. dà la nozione di contratto di agenzia: “col contratto di agenzia una parte assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto dell’altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata”. L’agente si caratterizza pertanto per:
- la stabilità dell’incarico;
- l’obbligo di promuovere la conclusione dei contratti;
- l’individuzione di una zona determinata;
- il diritto a una retribuzione.
Nell’ordinanza in commento, la Corte di cassazione qualifica come meri procacciatori (e non agenti) le persone coinvolte per difetto dei primi due requisiti indicati: assenza della stabilità dell’incarico e assenza dell’obbligo di promuovere la conclusione dei contratti.
Con riferimento al primo requisito, manca nel caso di specie – secondo la Corte di cassazione – la stabilità, poiché gli elementi indiziari esaminati in corso di causa hanno indotto il giudice a ritenere episodico il rapporto instaurato fra la società produttrice dei beni e le persone che li distribuivano. Questi principi enunciati dalla Corte di cassazione trovano conforto nella precedente giurisprudenza. Ad esempio Corte di cassazione, n. 448 del 9 febbraio 2018, ha affermato che il contratto di agenzia si differenzia da quello di procacciatore d’affari, il quale svolge la sua attività senza vincolo di stabilità e in via del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all’imprenditore da cui ha ricevuto l’incarico di procurare tali commissioni.
Con riferimento al secondo requisito (obbligo di promuovere la conclusione dei contratti), la Corte di cassazione – nell’ordinanza in commento – esclude che i procacciatori possano essere qualificati come agenti. In particolare, analizzando il testo del contratto (ma ancor più il modo in cui il rapporto si è concretamente atteggiato, al di là di quanto preveda espressamente il contratto), non emerge che i collaboratori avessero specifici obblighi di promuovere affari per conto dell’imprenditore. In altre parole, mentre l’agente ha un “obbligo” di promuovere i contratti, il procacciatore ha una mera “facoltà” di promuovere i contratti. E dunque: l’agente che non si attiva per vendere il più possibile viola la legge e potrebbe essere chiamato a risarcire il danno patito dal preponente; viceversa, il procacciatore che (in ipotesi) non fa nulla, non incorre in alcuna responsabilità nei confronti dell’imprenditore. È ovvio che il procacciatore farà tutto il possibile per procurare ordini all’imprenditore, al fine di incassare le provvigioni. Tuttavia, proprio per l’occasionalità della sua collaborazione e l’assenza di uno specifico obbligo, non sarà consentito far valere alcuna responsabilità del procacciatore, nel caso non riesca ad intermediare nessun contratto.
La decisione della Corte di cassazione in commento è nella sostanza condivisibile. Con riferimento peraltro al requisito della “stabilità” del rapporto, il giudice di primo grado non aveva valorizzato la “continuità” delle fatture. Se vengono emesse dal collaboratore fatture regolarmente (tipicamente con cadenza trimestrale), è ragionevole assumere che il rapporto presenti caratteri di stabilità. Sotto questo profilo non dovrebbe nemmeno rilevare l’importo delle fatture, che potrebbe anche essere esiguo. Si consideri difatti che l’agente può essere monomandatario oppure plurimandatario. Nel caso di agente plurimandatario, ossia che lavora per più case mandanti, è comune che con qualcuna di esse abbia introiti marginali, senza che per ciò si possa negare la sua qualità di agente. La Corte di cassazione, tuttavia, è vincolata all’accertamento in fatto della corte di merito e dunque – seppure vi fosse una certa continuità nell’emissione di fatture – ritiene non sufficientemente provato il carattere di stabilità del rapporto.
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