Con la sentenza n. 33975 del 5 dicembre 2023, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha affrontato la questione della posizione giuridica vantata dal dirigente pubblico nel caso in cui contesti la legittimità dei provvedimenti adottati dalla P.A. datore di lavoro sulla ripartizione o determinazione del fondo per il finanziamento della retribuzione di risultato, ai sensi della contrattazione collettiva di riferimento.
Occorre premettere che l’art. 45, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, prevede che il trattamento economico fondamentale e accessorio dei lavoratori alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è definito dai contratti collettivi, i quali (comma 3) stabiliscono, in coerenza con le disposizioni legislative vigenti, trattamenti economici accessori collegati: a) alla
performance individuale; b) alla
performance organizzativa con riferimento all’amministrazione nel suo complesso e alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola l’amministrazione; c) all’effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate ovvero pericolose o dannose per la salute.
Per l’erogazione della retribuzione accessoria – in cui si inscrivono la retribuzione di posizione e la retribuzione di risultato – sono destinate apposite risorse nell’ambito di quelle previste per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro: la retribuzione di posizione è collegata all’incarico conferito ai dirigenti; la retribuzione di risultato, in quanto connessa al raggiungimento di obiettivi, ha una giustificazione autonoma rispetto alla retribuzione di posizione.
La Cassazione, con la sentenza che qui si annota, ha affermato il seguente principio di diritto, a cui dovrà attenersi la Corte di appello di Catanzaro, in sede di rinvio, che si condivide, ossia che nella controversia in cui il dipendente contesti la legittimità dei provvedimenti adottati dalla P.A. datore di lavoro sulla ripartizione o determinazione del fondo per il finanziamento della retribuzione di risultato, ai sensi della contrattazione collettiva di riferimento, la relativa posizione giuridica soggettiva va qualificata in termini di diritto soggettivo alla corretta liquidazione della retribuzione, di cui la retribuzione di risultato è parte, sicché il giudice ordinario può conoscere e sindacare tutti i vizi dell’atto, ivi comprese le figure sintomatiche di eccesso di potere, ai fini dell’eventuale disapplicazione del provvedimento per decidere sulla domanda avanzata dal lavoratore.
La Corte di appello di Catanzaro, con riferimento ad entrambe le due pretese azionate da un dirigente della Camera di commercio, industria, agricoltura e artigianato (la prima avente ad oggetto la riliquidazione della retribuzione di risultato secondo un criterio di ripartizione delle risorse diverso da quello adottato dalla Camera di commercio; la seconda avente ad oggetto la reintegrazione dell’entità dei fondi destinati ad alimentare la retribuzione di risultato con le risorse non ripartite del fondo relativo agli anni precedenti), ha ritenuto che esse investissero il corretto esercizio del potere amministrativo da parte della Camera di commercio: ad avviso della Corte territoriale, la situazione giuridica vantata dal dirigente era suscettibile di assumere la consistenza di diritto soggettivo soltanto all’esito della rimozione dei provvedimenti di macro-organizzazione (ripartizione del fondo e rideterminazione fondi per il finanziamento della retribuzione di posizione e di risultato),che si sarebbe dovuta chiedere a un giudice amministrativo, come chiarito dalla pronuncia della Corte di cassazione a Sezioni Unite n. 27285 del 17 novembre 2017; per la Corte d’appello, non poteva prospettarsi l’esercizio del potere di disapplicazione perché questo presupponeva la deduzione in causa di un diritto soggettivo su cui incide il provvedimento amministrativo ritenuto illegittimo, mentre le situazioni giuridiche dedotte in lite erano correlate esclusivamente all’esercizio di un potere autoritativo organizzativo sindacabile solo sotto il profilo del rispetto dei canoni della buona fede e correttezza che concorrono comunque a conformare la condotta della pubblica amministrazione quale datore di lavoro pubblico in regime contrattualizzato.
La Corte di appello ha escluso di poter, pertanto, ravvisare nell’operato della Camera di commercio una violazione dei principi di correttezza e buona fede.
Secondo la Cassazione, la Corte territoriale non aveva considerato che la domanda del dipendente era volta a far valere il proprio diritto a percepire la retribuzione di risultato in conformità alle previsioni della contrattazione collettiva, venendo, dunque, in rilievo un diritto soggettivo rispetto al quale l’atto amministrativo presupposto può essere disapplicato dal giudice ordinario, perché il diritto non sorge solo a seguito della rimozione dell’atto, come erroneamente ritenuto dalla Corte d’appello, ma ne è leso nella sua consistenza: ne consegue, evidenzia la Cassazione nella sentenza
de qua, che la controversia si fonda sulla titolarità del diritto soggettivo alla retribuzione e che la contestazione investe la corretta ripartizione e determinazione del fondo per conseguire un incremento della retribuzione di risultato, sicché gli atti amministrativi vengono in rilievo come lesivi del diritto azionato.
L’interpretazione qui adottata, puntualizzano i giudici di legittimità, è pienamente in linea con la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (Sez. Un. 11/11/2022, n. 33365), che ha riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario in controversie promosse dai dipendenti per ottenere la condanna del datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive in relazione alle quote residue di fondi contrattuali, in quanto si prospetta la lesione del diritto soggettivo al pagamento di differenze sulla retribuzione, rispetto alla quale la illegittimità del mancato incremento dei fondi ad opera del datore, pur dedotta, costituisce una censura verificabile dal giudice in via incidentale: il medesimo principio, ci ricordano gli Ermellini, era già stato, peraltro, espresso proprio con riferimento ad una controversia di impugnazione delle delibere di determinazione del fondo di risultato al fine di rivendicare le conseguenti differenze retributive, senza che potesse attribuirsi rilievo alla opposta natura di atti di macro-organizzazione assunti dalla P.A., che agisce con i poteri del privato datore di lavoro (Cass. Sez. Un., 28/06/2019, n. 17568, e 08/07/2019, n. 18262), segnando espressamente la differenza con il precedente rappresentato da Cass. n. 27285 del 2017-pure richiamato nella sentenza oggetto del giudizio di Cassazione-perché riferibile a diversa fattispecie di riduzione autoritativa delle dotazioni del Fondo operata dalla Giunta regionale.
Una volta qualificata la posizione giuridica vantata dal ricorrente in termini di diritto soggettivo, la cognizione, precisano, opportunamente, i giudici della Suprema Corte, non rimane circoscritta ai principi generali di correttezza e buona fede, dal momento che, secondo consolidato indirizzo della Cassazione, il giudice ordinario può conoscere di tutti i vizi del provvedimento amministrativo ai fini della disapplicazione, ivi comprese le figure sintomatiche di eccesso di potere (fra molte, Cass. 26/06/2006, n. 14728).
Dionisio Serra, cultore di diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
Visualizza il documento:
Cass., 5 dicembre 2023, n. 33975
Scarica il
commento in PDF
L'articolo
Posizione giuridica soggettiva del dirigente pubblico con riferimento alla ripartizione o determinazione del fondo per il finanziamento della retribuzione di risultato sembra essere il primo su
Rivista Labor - Pacini Giuridica.