Responsabilità della Banca per il pagamento di assegno “non trasferibile” a soggetto non legittimato: la teoria del contatto sociale qualificato
Cass. civ., Sezioni Unite, 21 maggio 2018, n. 12478 – Pres. Canzio – Rel. Cristiano
Titolo di credito – Assegno bancario – Assegno non trasferibile – Pagamento a soggetto diverso dal prenditore – Responsabilità della banca – Prova liberatoria
(art. 43, co. 2°, R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736; art. 1176, co. 2°, c.c.)
[1] Ai sensi dell’art. 43, comma 2, legge assegni (R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736), la banca negoziatrice, chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento di assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per avere essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176, comma 2, c.c.
CASO
[1] Una compagnia assicurativa (emittente un assegno di traenza per la liquidazione di un indennizzo assicurativo) citava in giudizio un Ente postale chiedendone la condanna al risarcimento del danno patito in conseguenza del pagamento di detto assegno non trasferibile a soggetto non legittimato, previa falsificazione del nome del beneficiario, emergente dal contesto letterale originale del titolo, che l‘aveva costretta a rinnovare il pagamento all’effettivo titolare del credito da indennizzo.
Il giudice del merito rigettava, in primo ed in secondo grado, la domanda attorea.
La compagnia assicurativa soccombente proponeva ricorso per cassazione, denunciando, tra l’altro, la violazione dell’art. 43, co. 2° R.D. 21.12.1933, n. 1736 (c. d. Legge assegni), secondo cui “colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso, risponde del pagamento”, e sostenendo che l’anzidetta norma, da essa invocata, configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, con conseguente responsabilità dell’istituto pagatore in ogni caso, a prescindere dall’accertamento di eventuali profili di colpa all’atto del pagamento.
SOLUZIONE
Le Sezioni Unite, dopo aver passato in rassegna una serie di pronunce discordanti sulla corretta interpretazione della disposizione di cui all’art. 43, co. 2°, della c.d. legge assegni, e, quindi, sulla natura della responsabilità della banca negoziatrice in caso di pagamento di assegno bancario, di traenza o circolare, non trasferibile a soggetto diverso dal beneficiario, hanno risolto l’annosa questione escludendo la tesi della responsabilità oggettiva ed attribuendo natura contrattuale alla responsabilità della banca, la quale trova il suo fondamento nella teoria del c.d. contatto sociale.
QUESTIONI
Nella lunga e complessa parte motivazionale della sentenza che si annota, i Giudici di legittimità ricostruiscono i due contrapposti indirizzi giurisprudenziali sulla interpretazione dell’art. 43, co. 2°, l.a..
Secondo un primo orientamento, risalente alla pronuncia n. 3133 del 1958, il citato art. 43, co. 2° costituirebbe una deroga alla regola generale di cui agli artt. 1992 e 1189 c.c., con la conseguenza che la banca negoziatrice, nell’eseguire il pagamento a favore di soggetto non legittimato, non sarebbe liberata dalla propria obbligazione finché non paghi nuovamente all’effettivo prenditore, senza che rilevi in alcun modo l’elemento della colpa e, quindi, prescindendo dal grado di diligenza impiegato nell’identificazione del presentatore del titolo. Alla stregua di tale orientamento, pertanto, la responsabilità della banca si configurerebbe quale ipotesi di “responsabilità oggettiva” (Cass. civ., 31.03.2010, n. 7949; Cass. civ., 15.03.2006, n. 5677; Cass. civ., 29.08.2003, n. 12698; Cass. civ., 09.02.1999, n. 1098; Cass. civ., 29.01.1964, n. 224; Cass. civ., 07.10.1958, n. 3133).
Un decennio dopo la Cassazione con sentenza n. 2360 del 1968 inaugurava un nuovo filone giurisprudenziale, introducendo il concetto di “diligenza” nel pagamento di assegno non trasferibile a soggetto non legittimato. In particolare, i Giudici di legittimità affermavano che, qualora la banca effettui il pagamento dell’assegno non trasferibile a soggetto diverso dal prenditore, ma che si legittimi cartolarmente come tale, essa risponderebbe verso l’effettivo prenditore solo qualora non abbia usato la dovuta diligenza nell’identificazione del presentatore del titolo. Secondo tale orientamento, infatti, lo scopo della clausola di intrasferibilità non sarebbe quello di assicurare in ogni caso all’effettivo prenditore il conseguimento della prestazione, ma quello di impedire la circolazione del titolo non trasferibile. A sostegno di tale interpretazione è il riferimento, contenuto nell’art. 43, co. 2°, alla legittimazione cartolare, non potendosi derogare quindi ai principi generali in tema di identificazione del presentatore dei titoli a legittimazione nominale.
Quest’ultimo orientamento, consolidatosi nella successiva giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., 11.10.1997, n. 9888; Cass. civ., 03.04.1992, n. 4087; Cass. civ., 25.01.1983, n. 686; Cass. civ., 04.10.1979, n. 5118), è stato poi ribaltato dalla pronuncia n. 1098 del 1999, che con un revirement giurisprudenziale ha ripercorso il solco tracciato dalla sentenza del 1958, riaffermando, quindi, nuovamente la tesi della responsabilità oggettiva in cui incorrerebbe la banca in ipotesi di pagamento a soggetto non legittimato, posto che la ratio del citato art. 43, co. 2°, l.a. sarebbe quello di porre il prenditore a riparo dagli effetti dello spossessamento del titolo, impedendo a chi se ne sia indebitamente appropriato di riscuoterlo, dopo averlo necessariamente contraffatto. Al principio espresso dalla pronuncia n. 1098 del 1999 si sono conformate le sentenze della Cassazione n. 7949/2010, n. 3654/2003, n. 10190/2001, n. 9141/2001, n. 1978/2000.
Un più recente filone giurisprudenziale (Cass. civ., 23.12.2016, n. 26947; Cass. civ., 26.01.2016, n. 1377), ribaltando nuovamente l’interpretazione dell’art. 43, co. 2°, è tornato ad attribuire centralità al criterio della colpa, con la conseguenza che la responsabilità della banca negoziatrice (nonché quella della banca trattaria che abbia pagato il titolo in stanza di compensazione) deriverebbe dall’inosservanza del dovere di diligenza richiesto al banchiere ex art. 1176, co. 2°, c.c., vale a dire la diligenza del banchiere medio, non potendosi pretendere dallo stesso la preparazione di un perito grafologo e neppure il possesso di particolari competenze o di attrezzature sofisticate, dovendo la contraffazione o falsificazione essere rilevabili ictu oculi, attraverso l’esame visivo e tattile dell’assegno.
A comporre il contrasto giurisprudenziale sulla esatta interpretazione dell’art. 43, co. 2°, l.a. sono intervenute le Sezioni Unite con la sentenza in commento.
Punto di partenza alla base della motivazione è la sentenza n. 14712/2007, anch’essa resa a Sezioni Unite, con cui i Giudici di legittimità – chiarito che l’espressione “colui che paga” di cui all’art. 43, co. 2°, l.a. si riferisce non solo alla banca trattaria (o all’emittente in caso di assegno circolare) ma anche alla banca negoziatrice, a cui l’assegno viene girato per l’incasso, che è l’unica a poter effettuare un controllo sull’autenticità dell’assegno e sull’identità del soggetto che lo immette nel circuito di pagamento – avevano escluso la configurabilità di una “responsabilità oggettiva” della banca, riconoscendo natura contrattuale alla responsabilità cui si espone l’istituto che negozi un assegno non trasferibile ad un soggetto non legittimato.
Tale conclusione trova il suo fondamento nella c.d. teoria del contatto sociale qualificato “ravvisabile ogni qualvolta l’ordinamento imponga ad un soggetto di tenere un determinato comportamento, idoneo a tutelare l’affidamento riposto da altri soggetti sul corretto espletamento da parte sua di preesistenti, specifici doveri di protezione che egli abbia volontariamente assunto”.
In tale direzione le Sezioni Unite avevano rilevato che le regole di circolazione e di pagamento dell’assegno munito di clausola di non trasferibilità, pur svolgendo indirettamente una funzione di rafforzamento dell’interesse generale alla corretta circolazione del titolo, tuttavia sono dirette a tutelare i diritti di coloro che sono interessati alla circolazione di quello specifico titolo, con la conseguenza che ciascuno di essi fa legittimo affidamento sul fatto che l’assegno verrà pagato solo con le modalità e nei termini che la legge prevede e la cui concreta esecuzione è rimessa ad un soggetto, il banchiere, dotato di specifica professionalità al riguardo.
Ne deriva, da un lato, l’affidamento di tutti gli interessati alla corretta esecuzione dei compiti inerenti al servizio bancario, e dall’altro la specifica responsabilità in cui il banchiere incorre nei confronti di coloro che entrano in contatto con lui per avvalersi di quel servizio, qualora, al contrario, egli non dovesse rispettare le regole dettate dalla legge in merito.
Nel caso di specie, i Giudici di legittimità, condividendo il principio espresso delle S.U. 14712/2007, hanno ribadito che “la responsabilità della banca negoziatrice per avere consentito, in violazione delle specifiche regole poste dall’art. 43 legge assegni (r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736), l’incasso di un assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità, a persona diversa dal beneficiario del titolo, ha – nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno – natura contrattuale, avendo la banca un obbligo professionale di protezione (obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto), operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso”.
Pertanto, secondo la pronuncia in commento, la responsabilità della banca negoziatrice è contrattuale, in quanto derivante da contatto qualificato, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e dal quale scaturiscono i doveri di buona fede e correttezza ex artt. 1175 e 1375 c.c.; ne consegue che non può più condividersi la tesi della responsabilità oggettiva e quindi della responsabilità che prescinde dalla sussistenza della colpa nell’errore sull’identificazione del prenditore.
Trattandosi, quindi, di responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato, al danneggiato sarà sufficiente allegare l’inadempimento della banca, la quale sarà poi ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta ai sensi dell’art. 1176, co. 2° c.c, in quanto operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lieve.
Nel caso di specie, sottoposto al vaglio delle Sezioni Unite, l’Ente aveva fornito la prova che il fatto dannoso non gli era imputabile, posto che il documento di identità presentato dal portatore non era alterato né risultava rubato; che alla data di accensione del conto l’assegno non era stato ancora emesso e dunque non vi erano ragioni per sospettare che il nuovo cliente avesse instaurato il rapporto al solo fine di incassare la somma portata dal titolo; che, infine, la contraffazione dell’assegno non era riscontrabile ictu oculi, neppure ad un attento esame visivo, né appariva rilevabile al tatto.
La sentenza in commento è, evidentemente, di notevole rilevanza. Infatti, a fronte della rigorosa e poco convincente tesi della responsabilità oggettiva, in base alla quale la banca che paga un titolo intrasferibile è sempre e comunque responsabile, a prescindere dal grado di diligenza adottato nell’individuazione del prenditore, e, pertanto, tenuta a ripetere il pagamento all’effettivo beneficiario, il condivisibile arresto – che si auspica definitivo – delle Sezioni Unite consente all’Istituto pagatore di provare il diligente adempimento e/o l’assenza di colpa nell’eventuale inadempimento, onde andare esente da responsabilità, ovvero attenuarla. Si è, in conclusione, correttamente ritenuto che se è vero che la banca negoziatrice è tenuta ad operare con adeguata e prudenziale professionalità, ex art. 1176, co. 2, c.c., è altrettanto vero che dalla stessa non può pretendersi una vera e propria attività investigativa nell’identificazione del prenditore del titolo ovvero nella verifica dell’autenticità dell’assegno.
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