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Cassazione civile sez. lav., 25 agosto 2020, n. 17649

Fondo di garanzia INPS – TFR – datore di lavoro inadempiente – datore di lavoro soggetto alle procedure concorsuali – fallibilità in concreto – accertamento dello stato di insolvenza del datore di lavoro non soggetto alle procedure concorsuali – esiguità del credito azionato

CASO

Con sentenza pubblicata il 25 agosto 2020, n. 17649, la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso promosso da un lavoratore per la cassazione della sentenza con la quale la Corte d’Appello di Catania aveva respinto l’appello del lavoratore, confermando la decisione di primo grado di rigetto della domanda di condanna dell’INPS, quale gestore del Fondo di garanzia, al pagamento del TFR maturato dal lavoratore.

In particolare il lavoratore lamentava il fatto che la Corte d’Appello avesse ritenuto come requisito indispensabile per l’accesso al Fondo di garanzia la proposizione dell’istanza di fallimento anche nell’ipotesi in cui il datore di lavoro, pur astrattamente assoggettabile al fallimento, non potesse in concreto essere dichiarato fallito per l’esiguità del credito azionato.

In sostanza, il lavoratore aveva esperito una procedura di esecuzione forzata nei confronti del datore di lavoro, non andata a buon fine, e successivamente aveva adito il Fondo di garanzia sostenendo che il datore di lavoro non fosse “in concreto” fallibile sulla scorta del presupposto che l’ammontare del credito vantato dal lavoratore non avrebbe potuto portare ad una pronuncia di fallimento della società.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione ha deciso di non accogliere la censura mossa alla sentenza d’appello per i motivi che si vanno ad esaminare.

Come noto risalente giurisprudenza della Corte di Cassazione ha stabilito che l’espressione “non soggetto alle disposizioni del r.d. n. 267 del 1942” debba essere interpretata nel senso che l’azione prevista dall’art. 2, co. 5, L. n. 297/1982, trovi ingresso quante volte il datore di lavoro non sia assoggettato a fallimento, e ciò indipendentemente dal fatto che la ragione sia imputabile alle condizioni soggettive del datore di lavoro, oppure a ragioni ostative di carattere oggettivo (Cass. sez. lav. 1^ aprile 2011, n. 7585).

Più nello specifico la Corte ha stabilito che: <<ai fini della tutela prevista dalla l. n. 297 del 1982 in favore del lavoratore, per il pagamento del t.f.r. in caso di insolvenza del datore di lavoro, quest’ultimo, se è assoggettabile a fallimento, ma in concreto non può essere dichiarato fallito per la esiguità del credito azionato, va considerato in concreto non soggetto a fallimento, e pertanto opera la disposizione dell’art. 2, comma 5, della predetta legge, secondo cui il lavoratore può conseguire le prestazioni del Fondo di garanzia costituito presso l’Inps alle condizioni previste dal comma stesso, essendo sufficiente, in particolare, che il lavoratore abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione, salvo che risultino in atti altre circostanze le quali dimostrino che esistono altri beni aggredibili con l’azione esecutiva>> (Cass. sez. lav. 1^ aprile 2011, n. 7585).

Pertanto, in linea teorica, nel caso sottoposto ad esame, il lavoratore aveva esperito un’esecuzione infruttuosa, e non aveva un credito sufficiente ad ottenere il fallimento del datore di lavoro, pertanto avrebbe avuto diritto ad accedere al Fondo.

Tuttavia la Corte di Cassazione negli anni ha altresì chiarito che il requisito della “non fallibilità in concreto” determinato dall’esiguità del credito azionato, dovesse essere accertato mediante una pronuncia del Tribunale fallimentare di rigetto dell’istanza – appunto – promossa dal lavoratore.

Afferma pertanto la Corte di Cassazione che: <<il rigetto dell’istanza di fallimento da parte del Tribunale fallimentare per esiguità del credito, a tenore dell’art. 15, ult. co., R.D. n. 267/1942 (secondo cui “non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro trentamila (…)”) assolve alla condizione della non assoggettabilità del datore di lavoro a fallimento>> (Cass. sez. lav. 25 agosto 2020, n. 17649; id. Cass. sez. lav. 28 gennaio 2020, n. 1887).

Da ciò deriva che l’effettiva assoggettabilità o meno del datore di lavoro a procedura concorsuale deve essere accertata dal competente Tribunale fallimentare sulla base di quanto risultante dalla relativa istruttoria secondo la ratio della esclusione della procedura di liquidazione concorsuale in ragione di una soglia di rilevanza dell’insolvenza riferita all’indebitamento complessivo dell’impresa (si veda anche Cass. sez. lav. 6 settembre 2018, n. 21734).

L’intervento del Fondo di garanzia istituito presso l’INPS per la realizzazione dei crediti di lavoro nei confronti del datore di lavoro inadempiente che non sia assoggettabile alle procedure concorsuali risponde ad un’esigenza di “socializzazione” del rischio da inadempimento e da insolvenza che pone a carico dell’Ente previdenziale (cui poi spetta il diritto di surroga nella posizione del lavoratore) i rischi connessi alla procedura di recupero del credito.

A tal fine l’onere del lavoratore di agire “in executivis” deve conformarsi ad un onere di ordinaria diligenza da cui consegue che il lavoratore non è tenuto ad esperire l’esecuzione in tempi prestabiliti, ma solo al rispetto di quelli relativi al procedimento previdenziale, e può limitarsi ad intraprendere una delle possibili forme di esecuzione, con l’onere, in caso di esito infruttuoso di quella prescelta, di compiere ulteriori attività di ricerca dei beni solo allorché si prospetti la possibilità di una nuova esecuzione fruttuosa e ragionevole.

Tale ultima ipotesi, escluso un onere indistinto di ricerca di beni e/o condebitori, si verifica, dal punto di vista oggettivo, in presenza di beni che risultano dagli atti agevolmente aggredibili, senza un particolare dispendio economico e temporale, e dal punto di vista soggettivo, in presenza di altri condebitori solidalmente e illimitatamente responsabili oppure, in caso di soci limitatamente responsabili di una società di capitali cancellata ed estinta, allorché risulti positivamente dimostrato che tali soci abbiano riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione.

Ciò, lo si ripete, senza che al lavoratore sia richiesto un onere eccessivamente gravoso a carico del lavoratore: <<in particolare, dovrà escludersi la necessità di ulteriori azioni esecutive quando i costi, non recuperabili, della eventuale ulteriore azione superino l’importo del credito da azionare oppure quando risulti acquisita la prova della mancanza o insufficienza delle garanzie patrimoniali>> (Cass. sez. lav. 7 luglio 2020, n. 14020).

Pertanto il lavoratore che voglia adire il Fondo INPS per ottenere il pagamento del TFR maturato ma non corrisposto dal datore di lavoro dovrà, a fronte di un’esecuzione individuale infruttuosa, ove la società datrice di lavoro sia astrattamente assoggettabile al fallimento, presentare istanza di fallimento e attendere che questa venga rigettata per esiguità del credito.

Viceversa, ovviamente, ove il fallimento della società venisse dichiarato il lavoratore dovrà attendere che il proprio credito venga inserito nello stato passivo e che questo venga dichiarato esecutivo. Dal quindicesimo giorno successivo al deposito del decreto di esecutività dello stato passivo il lavoratore potrà adire il Fondo di garanzia INPS, entro i cinque anni successivi.

A tal proposito preme fare una breve digressione in merito ai crediti inerenti le retribuzioni maturate negli ultimi tre mesi di lavoro non corrisposti dal datore di lavoro inadempiente che, come noto, possono essere richiesti al Fondo INPS ove tali crediti rientrino nei dodici mesi che precedono la data dell’avvio di una procedura esecutiva individuale, o la domanda diretta all’apertura della procedura concorsuale a carico del datore di lavoro.

Ciò significa che, nel caso sottoposto ad esame, ove il lavoratore avesse voluto adire il Fondo INPS anche per il pagamento delle ultime tre retribuzioni mensili non corrisposte, questo avrebbe dovuto agire (o con azione individuale o con istanza di fallimento) entro i dodici mesi successivi alla prima retribuzione mensile non corrisposta, e il diritto all’accesso al Fondo si prescrive entro un anno da quando il diritto può essere fatto valere.

Concludendo, in caso di inadempimento del datore di lavoro in ordine al pagamento del TFR e addirittura delle ultime tre retribuzioni mensili maturate prima della cessazione del rapporto, il lavoratore dovrà, ove il datore di lavoro rientri tra i soggetti sottoposti per legge a procedura concorsuale, attivarsi tempestivamente per procedere avverso il datore di lavoro con azione esecutiva individuale e, ove questa sia infruttuosa con istanza di fallimento indipendentemente dal fatto che tale istanza verrà probabilmente rigettata, e successivamente adire il Fondo di garanzia istituito presso l’INPS.

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