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Comunicare non vuol dire semplicemente saper parlare. Comunicare vuol dire saper mettere in comune. Allora la domanda seguente dovrebbe essere: cosa mettiamo in comune nella comunicazione? …

Sono due gli aspetti da condividere con i nostri interlocutori comunicando: il primo riguarda gli aspetti cognitivi, cioè cosa ho capito, oppure cosa penso; il secondo riguarda gli aspetti emotivi, quindi come sto e cosa provo. Dal mix di questi due mondi esce la comprensione e la condivisione. I nostri interlocutori possono così sapere direttamente da noi cosa pensiamo e come stiamo, senza dover invece interpretare e rischiare quindi di prendere cantonate.

PARLATE DI VOI

La prima regola in una comunicazione corretta è dunque concentrarsi su di sé, nel senso di parlare di se stessi dal punto di vista di ciò che abbiamo capito, pensiamo, vogliamo e di ciò che stiamo provando emotivamente. Ciò che diremo sarà per forza “vero”, perché è il nostro mondo e noi sappiamo come stanno per noi le cose. Ciò avrà due effetti benefici: il primo è di evitare di dire cose sul nostro interlocutore palesemente errate e farlo irritare; il secondo è di far sapere in modo inequivocabile la nostra opinione prendendoci lo spazio utile nel rapporto.

Molti conflitti nascono da equivoci, da non detti, da errate interpretazioni, da tensioni causate dal fatto che ci si sente attribuire cose che non pensavamo e che non abbiamo detto, o addirittura intenzioni che non ci sono passate neppure per la mente.

Quindi prima regola d’oro è non lanciarsi in interpretazioni azzardate, non attribuire intenzioni non verificate, non mettere in bocca parole non dette dagli altri. Già seguendo questa “semplice” regola eviteremo molti conflitti.

PARLATE DEL FUTURO

La seconda regola d’oro è quella di focalizzarsi sul futuro invece che sul passato. Quando vi confronterete con un collega, con un interlocutore più in generale, la tendenza è di dedicare tempo, troppo tempo, a parlare del fatto accaduto, di chi è colpa, come mai, etc. etc.
Così facendo rischiamo di cadere nella polemica, di sembrare accusatori e, si sa, chi si sente accusato si difende. Se passiamo troppo tempo a rimestare sul passato, sull’accaduto – che per definizione è oramai andato e non si può cambiare – il rischio è di addentrarci nei meandri della colpa e non colpa e da lì, si sa, non si esce bene.

Cosa fare allora? Come gestire un errore di un collaboratore, oppure un comportamento che non ci è piaciuto?

Il segreto è di dedicare poco tempo al passato e molto al futuro. Quindi di rimanere quel tempo minimo indispensabile a descrivere (possibilmente senza giudizi) l’accaduto, per poi proiettarsi sul futuro e quindi in un mondo ancora tutto da creare. Il futuro è il mondo della possibilità.

Per esempio, se un collaboratore ci porta un lavoro fatto male, buona regola sarebbe partire dall’accaduto e mapparlo nelle sue linee essenziali spiegando perché è fatto male e come va fatto. A questo punto sulla time line proiettiamoci nel futuro e dedichiamo tempo a chiarire la nostra aspettativa: mi aspetto per la prossima volta che mi porti un lavoro fatto così e così, con queste caratteristiche etc. etc.

Il nostro interlocutore in questo modo non si sentirà sulla gogna, non si sentirà sotto scacco senza via di uscita, perché la via di uscita gliela stiamo dando: è la prossima volta, ha ancora una chanche.

I conflitti non sono di per sé un problema, è la loro mala gestione il problema.

LA GESTIONE DELLE CRITICHE

Esistono diversi modelli per la gestione delle critiche. Il modello consiste nell’individuazione dell’intenzione che sta dietro un comportamento o una frase.

Un principio utile per usare questo modello è che il comportamento e il modo di essere di una persona sono due cose da tenere separate. È molto importante saper affrontare le critiche e saperle fare in modo costruttivo.

Le critiche hanno la caratteristica di essere poste spesso sotto forma di generalizzazioni verso le quali si può solo essere in accordo o in disaccordo (ad esempio: “questa proposta non funzionerà mai”; “il tuo progetto è troppo dispendioso”) e talvolta possono degenerare in critiche personali passando da “quell’idea è stupida” a “tu sei stupido”.

Un’abilità linguistica fondamentale per gestire le critiche è saper estrarre le intenzioni positive. Anche quando si pensa che non ce ne siano, difficilmente chi ci critica potrà negare di avere un’intenzione positiva verso di noi o almeno verso qualcosa, creando così anche un contesto più armonico dal punto di vista emotivo.

Una caratteristica peculiare delle critiche è di formulare in negativo le intenzioni positive.

Ad esempio, se chiediamo qual è l’intenzione positiva dietro a “questa idea è troppo dispendiosa” la risposta sarà qualcosa come “evitare costi eccessivi”.

La strada migliore è quindi quella di formulare una domanda di questo tipo: “Se questo è ciò che non vuoi, cosa vuoi veramente?”. Oppure riformulare direttamente l’intenzione positiva in termini affermativi: “So che la tua intenzione è quella di rientrare nel budget e usare le risorse in maniera accorta”.

Una volta che è stata individuata l’intenzione positiva, si può riformulare la critica in una domanda “Come” e spiegare le proprie ragioni. È da evidenziare che le domande “come” sono molto più utili delle domande “Perché” in quanto si focalizzano sul risultato anziché sul problema. È cosa ben diversa chiedere “Perché la tua idea è così dispendiosa?” rispetto a “come puoi rendere più accessibile il tuo progetto?”.

NON COLPITE MAI LA PERSONA

Altra regola d’oro nella gestione dei conflitti è non colpire mai la persona. Parlate del fatto, del comportamento, ma non della persona. Non deve mai essere in discussione chi sei tu, bensì cosa hai fatto. Se la mettiamo sul chi sei tu, automaticamente l’altro si sentirà attaccato e reagirà difendendosi. E come ci si difende? In due modi: contrattacco, oppure fuga. Il modo più diffuso di fuggire sono le scuse ed ecco che rientriamo nelle situazioni in cui si litiga perché uno accusa e l’altro accampa scuse e il primo si arrabbia ancora di più. Eccoci entrati nel loop di una comunicazione errata che provoca danni ed escalation di conflitti.

In conclusione, non parlate delle persone ma del loro comportamento, del fatto. Non giudicate la persona, ma esprimete la vostra opinione sul fatto. Non concentratevi sull’accaduto, ma su ciò che si può ancora fare, sul futuro e sulla via d’uscita.

Se il vostro è un feedback ben dato dovrà essere proiettato al futuro, non colpire l’identità di nessuno ed essere costruttivo. Inoltre dovreste darlo nell’interesse di chi lo riceve, in modo che possa imparare e crescere di conseguenza.

CONFLITTI CHE FANNO CRESCERE

I conflitti ci sono laddove ci sono più teste. Non sono di per sé un problema, a patto che siano gestiti adeguatamente – quindi non va bene chi lascia passare tutto e mette la testa sotto la sabbia – e con i tempi giusti. Esistono infatti molte situazioni dove il conflitto nasce dall’aver sbagliato i tempi della gestione del conflitto, facendo cose giuste nel momento sbagliato. La tempestività a volte e il saper attendere il momento giusto altre faranno la differenza.

16/09/2019
| a cura di Mario Alberto Catarozzo – Business Coach, Formatore, Consulente marketing
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