Superbonus 110% e frodi fiscali: legittimo il sequestro preventivo dei crediti ceduti a terzi in buona fede
Corte di Cassazione, III sezione penale, sentenza 28 ottobre 2022, n. 40866
Crediti da bonus edilizi – Superbonus 110% – frode fiscale del beneficiario – crediti di imposta ceduti a istituto di credito – buona fede del terzo cessionario – collegamento tra reato e cosa – sussiste – sequestro preventivo impeditivo non finalizzato alla confisca – legittimità – sussiste.
Riferimenti normativi: art. 321, comma 1, c.p.p. – D. Lgs. n. 74/2000, art. 8 – D.L. n. 34/2020, art. 121 – D.L. n. 4/2022, art. 28 e 28-ter – circolare Agenzia delle Entrate n. 24/E del 08/08/2020 – circolare Agenzia delle Entrate n. 23/E del 23/06/2022 – audizione in Senato del Direttore Generale dell’Agenzia delle Entrate 10/02/2022
“… il sequestro preventivo non finalizzato alla confisca implica l’esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore, cosicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all’illecito e in buona fede, se la loro disponibilità sia idonea a costituire un pericolo nei termini di cui all’articolo 321 comma 1, c.p.p.”
“… i crediti sequestrati alla ricorrente debbono essere considerati, per l’appunto, cosa pertinente al reato, non potendosi accogliere la tesi difensiva secondo cui, esercitata l’opzione per la cessione del credito, e dunque rinunciato dal beneficiario l’originario diritto alla detrazione, il credito stesso sorgerebbe – in capo al cessionario – a titolo originario, quindi depurato da qualunque vizio, anche radicale, che avesse eventualmente colpito il diritto alla detrazione. Questa tesi, che intenderebbe il credito ceduto come sempre “garantito” dallo Stato a tutela del cessionario, anche di fronte ad un assoluto difetto dei presupposti, non può essere condivisa, non deponendo in tal senso la normativa di riferimento (primaria e secondaria) ampiamente richiamata nell’impugnazione e più sopra ricordata, alla quale non può essere riconosciuta alcuna forza derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria…”
CASO
La sentenza in commento fa parte di una delle cinque pronunce, tutte emesse in pari data, in cui la Corte di Cassazione penale ha preso posizione riguardo la legittimità del sequestro preventivo di crediti d’imposta ceduti a terzi in buona fede (banche, compagnie assicuratrici, società finanziarie), nell’ambito di operazioni illecite poste in essere dal cedente il credito, quale diretto beneficiario dell’agevolazione fiscale[1].
Questa la vicenda processuale: il Tribunale del riesame rigettava l’istanza promossa dall’istituto di credito e confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari, nell’ambito dell’inchiesta per il delitto di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, al falso e all’evasione fiscale, in materia di Superbonus edilizio 110%, di cui al D.L. n. 34/2020 convertito con modificazioni dalla Legge n. 77/2020.
La banca proponeva ricorso per Cassazione, in qualità di terzo interessato, adducendo l’inosservanza e/o l’erronea applicazione della legge penale e di norme extrapenali: in primo luogo, la tesi difensiva prospettata muoveva dal presupposto secondo il quale la ratio legis dell’art. 121 D.L. n. 34/2020[2] sarebbe quella di tutelare gli operatori economici protagonisti della circolazione di liquidità, limitando al massimo le fattispecie in cui possa venire precluso a questi ultimi, quali cessionari, di disporre dei crediti acquistati (come nel caso di utilizzo del credito di imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito ricevuto, oppure in quello di concorso nella violazione compiuta dal cedente, da accertare secondo le leggi penali).
In via generale, quindi, in caso di insussistenza dei requisiti per accedere all’agevolazione fiscale, gli effetti pregiudizievoli rimarrebbero in capo al diretto beneficiario (colui che ha commissionato i lavori), tanto più in presenza di accertata buona fede da parte dell’istituto di credito cessionario.
In secondo luogo, la ricorrente argomentava che, esercitata l’opzione per la cessione del credito e, dunque, rinunciato dal diretto beneficiario (cedente) il diritto alla detrazione, il credito stesso sorgerebbe in capo al cessionario a titolo originario, quindi epurato da vizi anche radicali che avessero eventualmente colpito il diritto alla detrazione.
Il Pubblico Ministero rassegnava le proprie conclusioni chiedendo declaratoria di inammissibilità del ricorso.
SOLUZIONE
La Corte di Cassazione rigettava il ricorso e confermava il decreto di sequestro preventivo dei crediti ceduti e acquistati dalla banca, ancorché in buona fede, in ragione della sussistenza della fattispecie di reato di truffa, falso ed evasione fiscale posto in essere dal cedente.
QUESTIONI GIURIDICHE
La decisione della Suprema Corte introduce, insieme alle altre quattro originate da medesimi presupposti di fatto, una serie di importanti precedenti in materia di detrazioni per gli interventi edilizi, destinati a ripercuotersi non solo sui soggetti interessati dalla normativa civilistica/tributaria (diretti beneficiari, imprese edilizie e terzi cessionari) ma anche, indirettamente, sulle sorti future degli incentivi fiscali[3].
Il ragionamento della Suprema Corte penale si snoda intorno a due aspetti: a) la qualificazione giuridica del sequestro preventivo ex art. 321, comma 1, c.p.c. e b) la natura giuridica del diritto di credito d’imposta acquistato dal terzo.
a) Qualificazione giuridica del sequestro preventivo ex 321, comma 1, c.p.c.
In primo luogo, la sentenza in commento chiarisce il motivo per il quale il sequestro in parola può essere disposto anche nei confronti di terzi cessionari in buona fede, come l’istituto di credito ricorrente.
L’art. 321, comma 1, c.p.p. dispone che “1. Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato. Prima dell’esercizio dell’azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari…”
Ebbene, a differenza della fattispecie di sequestro prevista dal comma 2 dello stesso articolo (sequestro anticipatorio preordinato alla confisca), quello in questione (non finalizzato alla confisca) implica l’esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore, cosicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo estraneo all’illecito ed in buona fede, se la loro libera disponibilità sia idonea a costituire un pericolo nei termini di cui all’articolo 321, comma 1, c.p.p.[4].
A ciò si aggiunga che, al fine di poter disporre validamente del sequestro di cui al comma 1, è sufficiente la prova di un legame pertinenziale tra la res e il reato, ossia un collegamento che comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato è stato commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto (ex art. 8, D. Lgs. n. 74/2000), ma anche quelle legate solo indirettamente (siccome pertinenze) alla fattispecie criminosa[5].
b) Natura giuridica del diritto di credito d’imposta acquistato dal terzo.
Il secondo importante aspetto analizzato dai Giudici è quello della natura giuridica del diritto di credito acquistato dal terzo[6]: esso è definito dalla Corte in commento “cosa pertinente al reato”, definizione che vale ad escludere che, esercitata l’opzione per la cessione del credito e dunque rinunciato dal beneficiario l’originario diritto alla detrazione, il credito stesso sorgerebbe in capo al cessionario a titolo originario, quindi depurato da qualunque vizio anche radicale che avesse eventualmente colpito il diritto alla detrazione.
Del resto – afferma la Corte – diversamente opinando si dovrebbe concludere che lo Stato avesse inteso “garantire” il credito ceduto al cessionario, anche a fronte dell’assoluto difetto dei presupposti di regolarità formale, se non addirittura di legalità.
Nel prosieguo della sentenza, i Giudici penali analizzano una serie di norme – segnatamente, i commi 1, 3, 4, 5, 6 dell’art. 121 D.L. n. 34/2020, l’art. 28-ter D.L. n. 4/2022, le circolari dell’Agenzia delle Entrate n. 24/E dell’08/08/2020 e n. 23/E del 23/06/2022, audizione in Senato del Direttore Generale dell’Agenzia delle Entrate del 10/02/2022 – per giungere a confermare la tesi secondo la quale il credito ceduto deriva dall’originario diritto alla detrazione, senza alcuna vicenda estintivo-costitutiva, ciò che ne giustifica il provvedimento di sequestro dei crediti di imposta ceduti, in ragione della loro pertinenza (nel senso già chiarito di riconducibilità) al reato[7].
[1] Le sentenze in questione sono: Cass. pen. in commento (ricorrente Illimity Bank S.p.A.); Cass. pen. n. 40865/2022 (ricorrente Banco Desio e della Brianza); Cass. pen. n. 40867/2022 (ricorrente Poste Italiane); Cass. pen. n. 40868/2022 (ricorrente Groupama Assicurazioni); Cass. pen. n. 40869/2022 (ricorrente Cassa Depositi e Prestiti).
[2] Recante: “Opzione per la cessione o per lo sconto in luogo delle detrazioni fiscali”.
[3] A questo proposito si evidenzia che, all’indomani della sentenza della Corte di Cassazione penale n. 40867/2022, Poste Italiane ha sospeso il servizio di acquisto dei crediti d’imposta ai sensi dell’art. 121 D.L. n. 34/2020, salva la prosecuzione delle pratiche già in essere.
[4] Cass. pen., sez. III, 25/10/2018, n. 57595; Cass. pen., sez. III, 27/10/2010, n. 40480.
[5] Cass. pen., sez. II, 16/04/2019, n. 28306; Cass. pen., sez. III, 15/01/2016, n. 31415; Cass. pen., sez. III, 17/11/2015, n. 9149.
[6] Si rammenta, come del resto fa anche la sentenza in commento, che l’art. 121, D.L. n. 34/2020 stabilisce che i soggetti che sostengono spese per determinati interventi edilizi possono optare “… 1) per il c.d. sconto in fattura ossia un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, fino a un importo massimo pari al corrispettivo stesso, anticipato dai fornitori che hanno effettuato gli interventi e da questi ultimi recuperato sotto forma di credito d’imposta, di importo pari alla detrazione spettante, a sua volta suscettibile di cessione. Con tale meccanismo, dunque, chi ha commissionato gli interventi del comma 2 rimane titolare della detrazione d’imposta, ma ne subisce la riduzione – anche sino alla totale scomparsa – per la parte in cui le spese di intervento siano sostenute non da lui, ma direttamente dal fornitore/esecutore, sotto forma di sconto; questi, per la misura corrispondente, vede allora sorgere un proprio ed autonomo credito d’imposta, che potrà portare in compensazione o, a sua volta, cedere nei termini di cui alla stessa norma; 2) per la cessione di un credito d’imposta di pari ammontare ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari, a sua volta suscettibile di cessione, nei termini (più volte modificati) del comma 1, lett. b), o di essere portato in compensazione con debiti erariali…”.
[7] Si annota che, a distanza di pochi giorni dalla pubblicazione delle sentenze del 28 ottobre 2022, in data 8 novembre 2022 la terza sezione della Corte di Cassazione penale ha nuovamente sancito che: “Costituisce ragionevole elemento di verifica del fumus del delitto di cui all’art. 8 del D.Lgs, n. 74 del 2000, la circostanza per cui a fronte di cessioni di ingenti crediti di imposta per i c.d. eco-bonus e sisma-bonus, il primo cedente non sia proprietario di immobili che, per caratteristiche intrinseche, consistenza e numero, giustifichino l’entità dei crediti ceduti rispetto ai presunti lavori di ristrutturazione edilizia che si assumono effettivamente realizzati e, di conseguenza, fatturati. In tale evenienza deve ritenersi legittimo il provvedimento con il quale viene disposto il sequestro preventivo dei crediti di imposta nell’attuale disponibilità del cessionario, nonché di quelli da esso a sua volta ceduti, anche presso i terzi cessionari”.
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