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la-giusta-causa-di-licenziamento-puo-ritenersi-integrata-anche-da-una-sola-delle-diverse-condotte-rilevanti-sul-piano-disciplinare-che-siano-state-contestate-al-dipendente
Con sentenza n. 32680 del 7 novembre 2022, la Corte di Cassazione, chiamata a decidere in merito alla legittimità del licenziamento irrogato ad un dirigente, ha affermato che “qualora il licenziamento sia intimato per giusta causa e siano stati contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, ciascuno di essi, autonomamente considerato, costituisce base idonea per giustificare la sanzione. Grava sul lavoratore l’onere di dimostrare che solo presi congiuntamente in considerazione, i singoli episodi, tali da non consentire la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto”. Nel caso di specie, un dirigente impugnava il licenziamento intimatogli per diversi e molteplici fatti, tra cui l’aver sottoscritto, in corso di rapporto e con la connivenza dell’amministratore delegato della società alle cui dipendenze lavorava, un patto di stabilità retrodatato particolarmente gravoso per la società stessa, lamentando la genericità della contestazione disciplinare, nonché la mancanza di giusta causa e giustificatezza del recesso. In primo grado, il ricorso del dirigente veniva parzialmente accolto, atteso che il Tribunale riteneva che il licenziamento irrogato al medesimo fosse privo di giusta causa con riguardo alla contestazione relativa all’omessa adozione di misure che avrebbero consentito al datore di lavoro un contenimento dei costi, ma supportato da giustificatezza, considerata la condotta addebitata al ricorrente con riferimento al patto di stabilità sottoscritto. La Corte d’appello territorialmente competente, invece, dopo aver escluso che la contestazione disciplinare potesse essere ritenuta generica, atteso che nella stessa risultavano indicati i comportamenti omissivi disciplinarmente rilevanti imputati al dirigente in un definito arco temporale, ravvisava una giusta causa di licenziamento nella condotta addebitata allo stesso. In particolare, a sostegno delle proprie conclusioni, la Corte territoriale evidenziava le seguenti circostanze: il patto di stabilità in oggetto era stato volutamente retrodatato alla data di assunzione del dirigente; il patto era palesemente sbilanciato in favore di quest’ultimo, atteso che era prevista l’azionabilità dello stesso da parte del lavoratore in ogni caso di recesso, anche laddove giustificato sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista temporale; il patto era stato redatto con la connivenza dell’amministratore delegato della società, che non ne aveva i poteri, senza che, peraltro, della questione fosse mai stato interessato il consiglio di amministrazione della società; il dirigente era ben consapevole del fatto che il patto, per il suo contenuto e per i tempi in cui era stato realmente formato e sottoscritto, fosse in aperto conflitto con gli interessi del datore di lavoro, considerato che il lavoratore rivestiva la qualifica di responsabile delle risorse umane della società. Dunque, alla luce di quanto sopra, la Corte d’appello riteneva che la condotta contestata al dirigente integrasse una giusta causa di recesso dal rapporto di lavoro, tenuto conto del ruolo apicale rivestito dal lavoratore, caratterizzato da un elemento fiduciario particolarmente rilevante ed intenso, nonché della gravità della condotta addebitata, considerate la sua portata oggettiva e soggettiva e l’intensità dell’elemento intenzionale della stessa. La Corte di Cassazione, nel decidere in merito al ricorso presentato dal dirigente, ha ritenuto la maggior parte delle censure presentate dal ricorrente inammissibili, in quanto le stesse si risolvevano nella pretesa di una diversa valutazione dei fatti complessivamente esaminati dalla Corte territoriale del tutto inammissibile nella sede del giudizio di legittimità. Inoltre, il Collegio ha dichiarato l’infondatezza del motivo di ricorso relativo al fatto che la Corte territoriale non avesse esaminato il contenuto del secondo punto della contestazione disciplinare, ove si addebitavano al dirigente le ulteriori e differenti condotte rispetto alla sottoscrizione di un patto di stabilità particolarmente gravoso ed oneroso per il datore di lavoro. Invero, rilevava il ricorrente, tale addebito era stato ritenuto dal Tribunale del tutto infondato e sufficiente ad escludere la sussistenza della giusta causa di licenziamento, mentre la Corte territoriale non aveva preso in considerazione tale circostanza, ritenendo assorbite, dalla contestazione relativa al patto di stabilità, tutte le altre censure. Tuttavia, secondo la Suprema Corte, in applicazione del principio sopra riportato, già affermato in precedenti sentenze (cfr., ex multis, Cass., 28 luglio 2017, n. 18836), la sentenza impugnata aveva correttamente deciso, accertando in fatto una delle condotte contestate, ossia l’aver concorso il lavoratore alla predisposizione di un patto di stabilità per sé particolarmente vantaggioso e allo stesso tempo estremamente gravoso per la società, oltre che retroattivo, in modo del tutto irrituale e con la connivenza dell’amministratore delegato che non ne aveva il potere, ritenendola grave e, soprattutto, sufficiente ad integrare una giusta causa di licenziamento. Federica Negri, avvocato in Milano Visualizza il documento: Cass., 7 novembre 2022, n. 32680 Scarica il commento in PDF L'articolo La giusta causa di licenziamento può ritenersi integrata anche da una sola delle diverse condotte rilevanti sul piano disciplinare che siano state contestate al dipendente sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.

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