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enti-pubblici-economici-e-appalto-non-genuino-mai-il-rimedio-della-costituzione-del-rapporto
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 12 dicembre 2022, n. 36223, qui annotata, decide una controversia in materia di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro in cui risulta coinvolto un ente pubblico. Nello specifico, si tratta di un’Azienda regionale nata dalla trasformazione di un ente di sviluppo agricolo che, per le finalità perseguite, è considerata ente pubblico non economico. La particolarità è che all’azienda sono riconducibili alcune “gestioni speciali di carattere imprenditoriale”, provenienti dal disciolto ente pubblico e in fase di liquidazione. Nel giudizio di merito, un lavoratore chiede l’accertamento del rapporto di lavoro con l’Azienda allegando di aver lavorato solo formalmente per la ditta appaltatrice del servizio di mensa e di cucina. La tesi del lavoratore, difatti, è che la gestione del servizio fosse direttamente in capo all’Azienda e che, in realtà, l’appalto servisse a giustificare (nella forma) ciò che (nella sostanza) era una somministrazione (irregolare) di pura manodopera. Il giudice di prime cure accoglie il ricorso ma non per l’effetto, richiesto dal ricorrente, di costituzione del rapporto di lavoro; la statuizione trova conferma anche in appello. In Cassazione è dedotto “che, ai sensi dell’art. 1, comma 4, della legge n. 1369 del 1960, il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro si estenderebbe alle aziende dello Stato ed agli Enti pubblici, anche se gestiti in forma autonoma, e che, quindi, i prestatori di lavoro occupati in violazione dei divieti posti dal medesimo art. 1 andrebbero considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni. L’estensione di tale normativa agli enti pubblici sarebbe possibile, per l’esattezza, ove questi ultimi siano organizzati con criteri di imprenditorialità”. Questa che segue è la ratio decidendi. La Cassazione ritiene provato che all’Azienda regionale convenuta siano riconducibili due differenti tipologie di gestione: l’una istituzionale, di carattere pubblicistico (quale ente pubblico non economico, alla stregua di quanto affermato dalla Corte di Cassazione SU 14 novembre 1996, n.9970); l’altra, afferente alle vecchie gestioni del disciolto ente di sviluppo agricolo, relative a beni “commerciabili sul mercato” e, di conseguenza, estranea alle finalità istituzionali dell’ente. Ritiene, inoltre, provato che l’attività lavorativa del ricorrente fosse riconducibile all’Azienda pubblica in sé, non alle gestioni speciali privatistiche. Sulla base di queste due premesse, la Corte di Cassazione esclude il diritto alla costituzione del rapporto di lavoro in ragione dell’esistenza delle disposizioni che impongono alla pubblica amministrazione specifiche modalità di assunzione, “tipizzate nelle tre forme del concorso pubblico, dell’avviamento dal collocamento e delle assunzioni obbligatorie, con nullità dei rapporti di lavoro diversamente costituiti e mero diritto del lavoratore al risarcimento del danno” (così in motivazione). La sentenza, però, non si ferma qui. La Corte estende il proprio ragionamento con un’argomentazione superflua ai fini della decisione e che rappresenta, quindi, un obiter. La Cassazione, difatti, afferma che la legge n.1369 (riferibile alla fattispecie concreta ratione temporis) trova applicazione anche nel caso di enti pubblici economici, relativamente alle loro attività di carattere sostanzialmente imprenditoriale. Esclude, però, che ai medesimi enti si applichi l’articolo 1, quinto comma, della legge, per il quale “i prestatori di lavoro, occupati in violazione dei divieti posti dal presente articolo, sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni”. Ne avremmo, dunque, una norma “imperfetta” (nel senso romanistico del termine, in quanto priva di sanzione) in alcuni casi e non in altri, in ragione della natura giuridica dei soggetti coinvolti. L’argomentazione è distonica rispetto all’orientamento tradizionale secondo cui ciò che conta, ai fini della disciplina in analisi, è la natura dell’attività svolta e non la natura del soggetto che la svolge. L’orientamento tradizionale, difatti, ritiene che l’intero sistema della legge n.1369 sia riferibile ai soggetti che svolgono attività imprenditoriale, a prescindere dalla loro natura giuridica; e, dunque, ritiene applicabile la disciplina di tutela anche agli enti pubblici in relazione alle loro attività che abbiano carattere d’impresa (così la Corte di Cassazione 22 maggio 2014, n.11383). L’orientamento tradizionale, peraltro, risulta coerente con la tesi (anch’essa maggioritaria, se non pacifica) per la quale gli enti pubblici economici non sono soggetti al principio del concorso, in quanto estranei al novero delle pubbliche amministrazioni in senso proprio. Quest’obiter mette in discussione entrambi poiché afferma che il rimedio della costituzione del rapporto non è possibile neppure quanto l’ente, seppure di natura pubblica, esercita attività pacificamente imprenditoriale. E per affermare ciò, deve affermare implicitamente che qualunque soggetto anche solo indirettamente pubblico sia condizionato dal principio del concorso. Si tratta di un’argomentazione che non serve alla decisione del caso concreto poiché in una delle premesse argomentative la Corte attribuisce all’ente convenuto natura pubblicistica in senso stretto. Perché la Corte la introduce, allora? L’argomentazione sembrerebbe avere il solo scopo di quadrare il cerchio di un orientamento di carattere più generale che si va delineando negli ultimi tempi. Esempio recente di questo orientamento è dato dalla giurisprudenza sulla reiterazione dei contratti a tempo determinato da parte delle fondazioni liriche (mi sia consentito rinviare alla mia nota, Fondazioni liriche e contratti a termine: qual è la partitura giusta per ‘le regole di condotta’?, in Labor, 30 marzo 2023 e alle altre note di commento ivi citate). Si tratta dell’orientamento che impedisce il rimedio processuale della costituzione del rapporto, anche in assenza di una specifica norma di divieto, in tutti i casi in cui a violare una regola giuslavoristica sia un soggetto anche solo indirettamente riconducibile all’area pubblica. L’argomentazione in obiter introduce, ad avviso di chi scrive, un nuovo tassello nel mosaico e, in qualche misura (absit iniura verbis) ‘strumentalizza’ il principio costituzionale del concorso. Luigi Sposato, ispettore del lavoro presso l’Ispettorato territoriale del lavoro di Cosenza *Le opinioni e le valutazioni espresse in questo articolo hanno carattere personale e non impegnano in alcun modo l’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Visualizza il documento: Cass., ordinanza 12 dicembre 2022, n. 36223 Scarica il commento in PDF L'articolo Enti pubblici economici e appalto non genuino: mai il rimedio della costituzione del rapporto* sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.

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