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La Corte di Cassazione, nella sentenza de qua (19 ottobre 2023, n. 29028) ha affermato la legittimità del licenziamento nel caso in cui il dipendente pubblico, anche consegnando il proprio badge a colleghi, effettui la timbratura senza essere presente in ufficio. Tale ipotesi è riconducibile alla fattispecie di «assenza ingiustificata dal lavoro con falsa attestazione della presenza in servizio con modalità fraudolente» sanzionata con il licenziamento disciplinare dall’art. 55-quater del d.lgs. 165/2001: la Corte infatti precisa che tale disposizione non riguarda solo i casi di alterazione o manomissione del sistema di rilevazione delle presenze, ma «tutti i casi in cui la timbratura, o altro sistema di registrazione della presenza in ufficio, miri a far risultare falsamente che il lavoratore è rimasto in ufficio durante l’intervallo temporale compreso tra le timbrature/registrazioni in entrata ed in uscita». La Corte, peraltro, specifica che le ipotesi di licenziamento disciplinare previste dall’art. 55-quater del d.lgs. 165/2001, essendo previste da una fonte sovraordinata quale la legge, si sostituiscono di diritto alle previsioni difformi eventualmente contenute nei contratti collettivi. Con sentenza del 7 luglio 2022, la Corte d’Appello di L’Aquila confermava la decisione resa dal Tribunale di Teramo e rigettava la domanda proposta dal dipendente pubblico nei confronti del Comune alle cui dipendenze prestava servizio, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatole per assenza ingiustificata dal lavoro con falsa attestazione della presenza in servizio con modalità fraudolente ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, lett. a) e dell’art. 3, comma 5, lett. k) e art. 6, lett. g) ed i) CCNL di comparto. La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto il ricorso in appello ammissibile ma infondato non risolvendosi le condotte contestate, corrispondenti a quelle oggetto delle imputazioni ascritte al dipendente medesimo. nel procedimento penale avviato a suo carico e definito con sentenza di patteggiamento, solo in quelle relative al mero ritardo di qualche minuto nell’inizio dell’attività lavorativa rispetto alle risultanze della timbratura del badge ma essendo altresì relative alla timbratura del badge in dotazione sia in entrata che in uscita per sé e per altra collega in orari in cui una o entrambe non erano effettivamente presenti sul lavoro ed alla mancata timbratura in uscita, il tutto per soddisfare esigenze personali e risultando anche queste pienamente sussistenti e, in ragione delle caratteristiche che le hanno connotate, abitualità, elevatissima frequenza, sistematica elusione dei dispositivi di rilevamento della presenza ed indebita consegna del proprio badge a colleghi, tali da evidenziarne la gravità sotto il profilo oggettivo e soggettivo, idonee a ledere il vincolo fiduciario tra le parti del rapporto. La ricorrente, nel denunciare il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, imputa alla Corte territoriale la mancata considerazione della notorietà dell’irregolare attestazione dell’orario della ricorrente qualificata dallo stesso responsabile del servizio anche in termini di prassi così da sottrarsi alla reazione disciplinare del soggetto datore. Peraltro, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., la ricorrente imputa alla Corte territoriale di aver assunto a comprova del proprio convincimento la testimonianza del responsabile del servizio senza rilevare la contraddittorietà delle dichiarazioni rese nell’ambito delle diverse procedure, quella penale e quella civile, in cui il medesimo era stato sentito. Parimenti, il pubblico dipendente deduce la nullità dell’impugnata sentenza in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e la nullità dell’impugnata sentenza in relazione ad un vizio di motivazione dato dall’incongruità logica e giuridica dell’argomentazione in base alla quale la Corte territoriale non ha ritenuto adeguatamente provato l’impiego della ricorrente in attività esterne nelle giornate in cui si erano verificate le condotte contestate. La Suprema Corte, facendo proprie le conclusioni e la valutazione della Corte Territoriale, sancisce che le suddette condotte – “poste in essere con abitualità, in un periodo (quale quello in contestazione) di rilevante durata, con elevatissima frequenza” – non risultavano in alcun modo giustificate da esigenze d’ufficio ovvero da prassi interne alla P.A. di appartenenza e, dunque, erano state poste in essere solo per soddisfare esigenze personali (sugli studi monografici recenti in tema di procedimento disciplinare nel rapporto di pubblico impiego: Lattari, Compendio di diritto disciplinare del pubblico impiego privatizzato, Milano, 2018; Boiero, Il procedimento disciplinare nel pubblico impiego, Rimini, 2017; Tenore, Studio sul procedimento disciplinare nel pubblico impiego, Milano, 2017; Aa.Vv., Atti del Iº Convegno nazionale dei dirigenti degli Uffici Procedimenti Disciplinari, Bologna 26 marzo 2015, in Azienditalia – Il personale, 2015; Pedaci (a cura di), Testo unico pubblico impiego esplicato, Napoli, 2014; Di Paola, Il potere disciplinare nel lavoro privato e nel pubblico impiego privatizzato, Milano, 2010). Il Supremo consesso afferma, peraltro, che la Corte territoriale avrebbe correttamente interpretato il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, quale norma recata da fonte sovraordinata ai contratti collettivi e diretta ad introdurre, con qualificazione prevalente rispetto a quella contrattuale, una specifica ipotesi di licenziamento disciplinare ed avendo la Corte medesima ritenuto la fattispecie concreta a quella ipotesi pienamente riconducibile all’esito di un apprezzamento che ha tenuto conto della sua ricorrenza oggettiva e della sua valenza soggettiva fondandone la legittima applicazione. Le fattispecie legali di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo, introdotte dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, comma 1, lett. da a) ad f), e comma 2, rappresentano ipotesi aggiuntive rispetto a quelle individuate dalla contrattazione collettiva – le cui clausole, ove difformi, vanno sostituite di diritto ai sensi dell’art. 1339 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2 (un interessante studio sulle relative dinamiche socio-politiche è stato elaborato da Pommier Vincelli, La « riforma Madia » della Pubblica Amministrazione: contesto politico, analisi teorica e implementazione, in Riv. trim. sc. amm., n. 3-2017;  “Crescenti, e non lievi, fenomeni di malcostume e di illegalità all’interno della P.A. hanno dunque spinto anche l’attuale Governo ad inasprire i trattamenti punitivi interni per alcune condotte, a snellire l’iter procedimentale, a favorire la specializzazione punitiva, ad attenuare i rischi di annullamenti delle sanzioni per vizi meramente formali”. Così Tenore, Le novità apportate al procedimento disciplinare nel pubblico impiego dalla riforma Madia, in Lav. dir. eur., 2017, fasc. 1. Per approfondimenti sull’intero corpus si rinvia a Garilli, Riccobono, De Marco, Bellavista, Marinelli, Nicolosi, Gabriele, Il lavoro alle dipendenze della P.A. dopo la “riforma Madia”, Padova, 2018). Inoltre, la fattispecie disciplinare di fonte legale di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, si realizza non solo nel caso di alterazione/manomissione del sistema, ma in tutti i casi in cui la timbratura, o altro sistema di registrazione della presenza in ufficio, miri a far risultare falsamente che il lavoratore è rimasto in ufficio durante l’intervallo temporale compreso tra le timbrature/registrazioni in entrata ed in uscita. La condotta, che si compendia nell’allontanamento dal luogo di lavoro senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza economicamente apprezzabili è, infatti, idonea oggettivamente ad indurre in errore l’amministrazione di appartenenza circa la presenza su luogo di lavoro e costituisce, ad un tempo, condotta penalmente rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quinquies, comma 1. Nello specifico è stata anche correttamente valutata, secondo la Suprema Corte, ai fini della proporzionalità e adeguatezza della sanzione espulsiva e della lesione del vincolo fiduciario, la gravità della condotta; si fa riferimento, precipuamente, alla portata oggettiva, modalità, intensità dell’elemento intenzionale, carattere abituale e fraudolento, preordinazione delle modalità esecutive, ritenuta tale da rendere irrilevante l’entità della retribuzione indebitamente percepita o l’assenza di precedenti disciplinari (Sfrecola, La responsabilità amministrativa per danno erariale connesso alla violazione del codice, in Diritto e Pratica Amministrativa, Luglio/Agosto 2013, Il Sole24Ore, Milano. Sul “nuovo” valore del codice di comportamento, anche nelle dimensioni disciplinari, organizzative e etico-deontologiche, cfr. anche Carloni, I codici di comportamento, in Lav. P.A., 2017; Ricci, Lavoro privato e lavoro pubblico: rapporto tra le due ipotesi di riforma, estensione delle regole e modelli, in Lav. P.A., 2014, 461). In conclusione, le fattispecie legali di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo, introdotte dall’art. 55 quater, comma 1, lett. da a) ad f), e comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, costituiscono ipotesi aggiuntive rispetto a quelle individuate dalla contrattazione collettiva – le cui clausole, ove difformi, vanno sostituite di diritto ai sensi degli artt. 1339 e 1419, comma 2, cod. civ. Ne consegue che la fattispecie disciplinare di fonte legale di cui all’art. 55 quater del d.lgs. n. 165/2001 si realizza non solo nel caso di alterazione/manomissione del sistema, ma in tutti i casi in cui la timbratura, o altro sistema di registrazione della presenza in ufficio, miri a far risultare falsamente che il lavoratore è rimasto in ufficio durante l’intervallo temporale compreso tra le timbrature/registrazioni in entrata ed in uscita (Sull’obbligatorietà della contestazione disciplinare si rinvia a Cordella, Il procedimento disciplinare, in Esposito, Luciani, Zoppoli, La riforma dei rapporti di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, Torino, 2018, 269 e 285 e a Tenore, Palamara, Marzocchi Buratti, Le cinque responsabilità del dipendente pubblico, Milano, 2013, pag. 399).. Giuseppe Maria Marsico, dottorando di ricerca in diritto privato e dell’economia e funzionario giuridico-economico-finanziario Visualizza il documento: Cass., 19 ottobre 2023, n. 29028 Scarica il commento in PDF L'articolo Falsa attestazione della presenza in servizio del pubblico dipendente: sul rapporto tra C.C.N.L., legge e fattispecie tipizzate di cui all’art. 55 quater del d.lgs. n. 165 del 2001 sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.

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