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licenziamento-collettivo-in-caso-di-fine-appalto-permangono-obblighi-comunicativi-e-di-comparazione-dei-lavoratori-coinvolti
La sentenza in commento affronta la questione relativa alla procedura di licenziamento collettivo nel caso in cui a cessare sia uno specifico settore dell’impresa, con particolare riferimento all’atteggiarsi dell’obbligo di cui all’art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991. Il caso riguarda una procedura di mobilità che era stata avviata in ragione della cessazione degli appalti di servizi di due comuni, concernenti l’assistenza domiciliare agli anziani e la gestione dei centri di incontro per anziani, con licenziamento del personale addetto. Contrariamente a quanto sostenuto dalla società datrice, convenuta in primo grado, sia il primo giudice che la Corte d’Appello avevano affermato l’illegittimità del licenziamento, con contestuale condanna alla reintegrazione dei lavoratori coinvolti, per via del mancato assolvimento in sede di comunicazione iniziale e finale dell’obbligo di comparazione di tutto il personale aziendale, da cui sarebbe emersa l’infungibilità del profilo di addetto agli anziani rispetto agli altri profili professionali. La società ha proposto ricorso in cassazione con più motivi, contestando che l’espressione “non si pongono problemi di scelta”, contenuta nella comunicazione di cui all’art.4 della l. n.223/91, non significava che la società non avesse proceduto, in adempimento degli obblighi di legge, alla comparazione dei lavoratori licenziati con tutti gli altri lavoratori. Secondo la società ricorrente, infatti, in caso di cessazione dei servizi presi in appalto, la scelta dei lavoratori da licenziare sarebbe oggettivata dal nesso causale che lega la ragione organizzativa posta a fondamento della cessazione dell’appalto con la posizione assunta dal lavoratore nell’organizzazione, non più necessaria. La Corte di Cassazione, con la sentenza qui annotata (12 luglio 2023, n.19872), conformemente alla pressoché costante giurisprudenza sul tema, ha rigettato il ricorso affermando che “l’individuazione dei lavoratori da licenziare” deve avvenire avuto riguardo al “complesso aziendale”. Con tale affermazione la Corte non preclude la possibilità che la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale possa essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore o sede territoriale, ma afferma, in tali ipotesi, la sussistenza di uno stringente obbligo di comunicazione in capo al datore di lavoro, il quale deve indicare le ragioni che limitano i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore in questione, nonché le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine. Tale obbligo comunicativo e il conseguente onere della prova del datore di lavoro in giudizio è connesso alla ratio che presidia la procedura del licenziamento collettivo disciplinata dalla l. n. 223/91, consistente nel consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti e dunque l’effettiva sussistenza delle esigenze organizzativa. Il licenziamento collettivo interviene infatti all’esito di un esame congiunto e non di una decisine unilaterale del datore. Le organizzazioni sindacali devono poter verificare il nesso fra le ragioni che determinano l’esubero di personale e le unità lavorative che l’azienda intenda concretamente espellere. Pertanto, la sentenza conferma l’illegittimità del licenziamento collettivo intimato in quando nel caso in specie il licenziamento collettivo aveva coinvolto esclusivamente lavoratori addetti ai servizi presi in appalto, ed era onere del datore di lavoro provare il più ristretto ambito nel quale la scelta era stata effettuata, non essendo sufficiente addurre la cessazione dell’appalto. In ogni caso era necessaria, e non poteva ritenersi assorbita dalla comunicazione della cessazione dell’attività in questione, la valutazione della professionalità degli addetti prescelti finalizzata ad escludere che gli stessi non svolgessero mansioni fungibili con quelle di dipendenti assegnati ad altri reparti o sedi, e dunque l’esame sulla infungibilità delle mansioni svolte dai lavoratori coinvolti con quelle dei lavoratori degli altri settori o unità dell’impresa. Un altro profilo che viene esaminato nella sentenza riguarda, sempre nell’ambito degli obblighi di comunicazione del datore di lavoro che procede al licenziamento collettivo, i criteri di scelta, e in particolare il rispetto dell’art. 4, comma 9, della 1. n. 223 del 1991, a mente del quale l’impresa deve comunicare per iscritto agli organi competenti le modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all’art.5 della l. n. 223/91.  Laddove non venga trovato un accordo con le organizzazioni sindacali, la platea dei lavoratori interessati al recesso deve essere individuata applicando tutti i criteri legali, non solo quello riferito alle esigenze tecnico organizzative. La cessazione di un servizio dato in appalto non giustifica dunque il venir meno degli obblighi di legge e non comporta alcun automatismo nella scelta dei lavoratori da licenziare. Si segnala tuttavia la presenza di pronunce, sebbene in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, individuale o plurimo, nelle quali è stato affermato che in caso di soppressione di un servizio legato alla cessazione di un appalto, il nesso causale che deve sussistere tra la ragione organizzativa o produttiva posta a fondamento del recesso e la soppressione del posto di lavoro è idoneo, di per sé, ad individuare il personale da licenziare (Cass. n. 25653/2017). Francesca Ghiani, dottore di ricerca e ispettore del lavoro Visualizza il documento: Cass., 12 luglio 2023, n. 19872 Scarica il commento in PDF L'articolo Licenziamento collettivo in caso di fine appalto: permangono obblighi comunicativi e di comparazione dei lavoratori coinvolti sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.

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