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A. La vicenda Un grappolo di sentenze si sono pronunciate sulla nota vicenda traslativa tra Alitalia SAI S.p.A., in Amministrazione Straordinaria (“Alitalia”) e Italia Trasporto Aereo S.p.A. (“ITA”) alla quale di seguito ci riferiremo chiamandola l’”Operazione”. Ci riferiamo specificamente a Trib. Milano, 1° giugno 2023, n.1227, est. Colosimo; Trib. Roma, 26 luglio 2023,n.6205, est. Cottatellucci; Trib. Milano, 12 dicembre 2023,n.2783, est. Atanasio; Trib. Roma, 13 dicembre 2023, n. 11341, est. Tizzano. La controversia riguardava essenzialmente il mancato passaggio di una parte dei lavoratori e ha visto in giudizio esiti differenti, per finire sul più bello con un intervento normativo avente un’affermata finalità di interpretazione autentica. Qualche riferimento di contesto è utile. La procedura di amministrazione straordinaria di Alitalia SAI era stata avviata con Decreto del Ministero dello Sviluppo del 02/05/2017. Successivamente era stato adottato un programma volto alla cessione dei beni, ai sensi dell’art. 27, comma 2, lett. b bis, d.lgs. n. 270/1993. La difficile ricerca di un acquirente aveva poi portato alla costituzione di una nuova società (ITA), sottoposta a controllo pubblico (art. 79, comma 3, DL 18/2020), destinata a operare quale nuova compagnia di bandiera e alla quale cedere alcuni degli asset di Alitalia. La Decisione della Commissione europea del 10/09/2021 – emessa ai sensi dell’art. 79, comma 4 bis, DL 18/2020 – aveva dato una valutazione positiva del Piano Industriale correlato all’Operazione, con riferimento specificamente alla discontinuità delle due società, evidenziando che, ai fini degli aiuti di Stato in relazione ai quali Alitalia aveva delle pendenze con l’Unione, ITA sarebbe stata considerata una compagnia diversa da Alitalia e che vi era unadiscontinuità economica” tra i due soggetti (la “Decisione”). Nell’ambito dell’Operazione avveniva la cessione di alcuni beni da Alitalia a ITA, e segnatamente dell’intero asset cd. Aviation – vale a dire l’attività di trasporto aereo passeggeri – che senza soluzione di continuità veniva proseguita da ITA (la “Cessione”). In questo ambito numerosi lavoratori non proseguivano l’attività con ITA: in particolare  dei 6.650 dipendenti di Alitalia addetti al settore Aviation, ITA ne assumeva 2.235, sottoscrivendo con loro un nuovo contratto. Nel frattempo, proseguiva l’amministrazione straordinaria di Alitalia e ITA iniziava ad operare il 15/10/2021. Dal che è nato un vivace contenzioso sulla natura dell’operazione e sull’applicabilità dell’art. 2112 c.c., cosa che, se accertata, avrebbe comportato l’automatico passaggio di tutti i rapporti di lavoro afferenti al ramo. B. Gli snodi interpretativi I punti del contrasto erano principalmente tre, così esposti in ordine di “liquidità” ma non necessariamente di logica: (a) se la Decisione (della Commissione europea del 10/09/2021) – che in riferimento agli aiuti di Stato, come si è visto, concludeva nel senso della discontinuità tra Alitalia e ITA – potesse avere un’incidenza qualificatoria dell’operazione in chiave di insussistenza di un trasferimento di ramo d’azienda ai fini giuslavoristici; (b) se la circostanza che la Cessione fosse avvenuta nell’ambito di un’amministrazione straordinaria, atteso il contesto concorsuale sottoposto al controllo pubblico e la sua (affermata) finalità liquidatoria, la facesse rientrare nell’ambito di una deroga all’art. 2112 c.c.; (c) se infine, superati negativamente i primi due aspetti, la Cessione potesse essere inquadrata nella nozione di trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2112 c.c. e della Direttiva 2001/23/CE, con le relative implicazioni in termini di prosecuzione dei rapporti di lavoro. C. Le soluzioni contenute nelle tre pronunce Le tre pronunce qui segnalate concordano sul primo e sul terzo profilo e dissentono sul secondo, pervenendo a un diverso esito del giudizio. C.1. La (ir)rilevanza della decisione della Commissione Europea sulla discontinuità nell’Operazione Vi è accordo tra tutte le pronunce nel ritenere irrilevante la Decisione ai fini di escludere che la Cessione integri un trasferimento d’azienda. Secondo il Tribunale di Roma il perimetro della Decisione è limitato alla circostanza che ITA non è responsabile degli aiuti di Stato ricevuti da Alitalia giacché l’Unione espressamente conferma la discontinuità economica tra le due compagnie, cosa che comporta il conseguente esonero di ITA dalla restituzione degli aiuti ricevuti da Alitalia, già qualificati come illegittimi dalla Commissione. Osserva il giudice romano che certamente la decisione assunta dalla Commissione ha valore vincolante ai sensi dell’art. 288 TFUE ma che il punto è a quale destinatario debba farsi riferimento quando si sostiene tale vincolatività. Infatti, il contenuto vincolante è quello che ha ad oggetto l’accertamento dell’illegittimità degli aiuti di Stato non certo l’eventuale sussistenza del trasferimento del ramo di azienda che non è mai stato oggetto della valutazione della Commissione, né avrebbe potuto esserlo. Osserva inoltre il giudice che il giudizio della Commissione riguarda una valutazione ex ante su base documentale per sua natura quindi astratta, mentre quello effettuato dinanzi al giudice nazionale non può esaurirsi in questo ma deve essere condotto in maniera conforme al principio di effettività e per questa ragione comprendere necessariamente anche la verifica di quanto effettivamente accaduto in attuazione del contratto di cessione. E sta di fatto che in questa vicenda vi è una significativa distanza tra gli elementi su cui si è fondato il giudizio della Commissione e quelli che risultano invece dall’esame del contratto concluso, tra i quali ad esempio il prezzo di acquisto che non è di mercato ma del tutto simbolico. Negli stessi termini ragiona la sentenza del Tribunale di Milano di giugno, che rileva anche come la Commissione Europea, lungi dall’affermare in concreto la sussistenza della discontinuità economica tra Alitalia e ITA e l’insussistenza di un’ipotesi di aiuto di stato, ha chiarito quali avrebbero dovuto essere i presupposti per la realizzazione di siffatte condizioni. Non vi sarebbe stata continuità economica subordinatamente al “pieno rispetto degli impegni assunti dall’Italia” e a che “il trasferimento delle attività di Alitalia [fosse] effettuato a condizioni di mercato”. E nel far valere la vincolatività della suddetta Decisione nella controversia, secondo il giudice, ITA avrebbe dovuto comunque provare la piena corrispondenza tra i presupposti considerati dalla Commissione Europea e gli elementi in concreto caratterizzanti l’operazione di acquisizione degli assets di Alitalia SAI, in uno con tutte le altre operazioni compiute ai fini dell’avvio dell’attività di trasporto aereo di persone e merci. Osserva inoltre la sentenza del Tribunale di Milano di dicembre che la Commissione non si è espressa se il pagamento del corrispettivo di un euro, a fronte della cessione di tutti gli asset prima indicati, sia effettivamente rispettoso di quelle condizioni indicate dalla Commissione quale presupposto della discontinuità. Il Tribunale di Roma di dicembre ribadisce che l’obbligatorietà della Decisione “in tutti i suoi elementi” ex art. 288, par. 4, TFUE non possa prescindere dall’oggetto del controllo della stessa, che appunto è limitato agli aiuti di Stato. C.2. L’affermata inapplicabilità dell’art. 2112 c.c. in ragione della procedura liquidatoria di Alitalia Passiamo al punto più complesso. ossia se l’ambito dell’amministrazione straordinaria, escluda l’applicabilità dell’art. 2112 c.c., in conformità con quanto disposto dall’art. 5 della direttiva 23/2000/UE e dall’art. 56 comma 3 bis d.lgs. 270/1999. Il quadro normativo Qualche riferimento normativo – nei limiti di quanto qui interessa – può essere d’aiuto per rendere più agile e veloce il successivo discorso. (i) L’art. 2112, comma 1, c.c. (“Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda”) stabilisce che “In caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro  continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti  che  ne derivano.”. (ii) A sua volta l’art 5, paragrafo 1, Direttiva 2001/23/CE del Consiglio (“concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti”), alla quale la norma codicistica si è adeguata e in base alla quale deve essere interpretata, prevede che “1. A meno che gli Stati membri dispongano diversamente, gli articoli 3 e 4 non si applicano ad alcun trasferimento di imprese, stabilimenti o parti di imprese o di stabilimenti nel caso in cui il cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso e che si svolgono sotto il controllo di un’autorità pubblica competente (che può essere il curatore fallimentare autorizzato da un’autorità pubblica competente).” I paragrafi 2 e 3 prevedono invece la possibilità che le normative nazionali, in situazioni di insolvenza o di crisi alle quali non si applicano le suddette deroghe (del par. 1),  prevedano la possibilità di accordi con le parti scoiali concordino modifiche delle condizioni di lavoro dei lavoratori intese a salvaguardare le opportunità occupazionali. (iii) L’art. 27, comma 2, lett. a e b-bis, d.lgs. 270/1999 (“Nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell’art. 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274″) prevede che le imprese dichiarate insolventi sono ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria qualora presentino concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali e che: “2. Tale risultato deve potersi realizzare, in via alternativa:
  1. a)  tramite la cessione dei complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell’esercizio dell’impresa di durata non superiore ad un anno (“programma di cessione dei complessi aziendali”);
(…) b-bis)  per le società operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali anche tramite la cessione di complessi di beni e contratti sulla base di un programma di prosecuzione dell’esercizio dell’impresa di durata non superiore ad un anno (“programma di cessione dei complessi di beni e contratti”).” (iv) Il successivo art. 56, commi 1 e 3 bis, d.lgs. 270/1999 – centrale ai nostri fini – stabilisce che: “1.    Il programma deve indicare:
  1. a)  le attività imprenditoriali destinate alla prosecuzione e quelle da dismettere;
(…) 3-bis. Le operazioni di cui ai commi 1 e 2 effettuate in attuazione dell’articolo 27, comma 2, lettere a) e b-bis), in vista della liquidazione dei beni del cedente, non costituiscono comunque trasferimento di azienda, di ramo o di parti dell’azienda agli effetti previsti dall’articolo 2112 del codice civile.”. (v) l’art. 5, co. 2-ter, d.l. n. 347/2003 (convertito in L. 39/2004) stabilisce che, con riferimento ad imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali o che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale, nell’ambito delle consultazioni sindacali “ovvero esaurite le stesse infruttuosamente”, il Commissario e il cessionario possono “definire i contenuti di uno o più rami d’azienda, anche non preesistenti, con individuazione di quei lavoratori che passano alle dipendenze del cessionario”. (vi) Infine, l’art. 47, L. 428/1990 (come modificato dal DL 135/2009, conv. in L. 166/2009, per dare attuazione alla sentenza di condanna emessa dalla Corte di Giustizia 11 giugno 2009 nella causa C-561/07) (rubricato “Trasferimenti di azienda”), stabilisce: 4-bis. Nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo, nel corso delle consultazioni di cui ai precedenti commi, con finalità di salvaguardia dell’occupazione, l’articolo 2112 del codice civile, fermo il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro, trova applicazione, per quanto attiene alle condizioni di lavoro, nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo, da concludersi anche attraverso i contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, qualora il trasferimento riguardi aziende: (…) c)  per le quali è stata disposta l’amministrazione straordinaria, ai sensi del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività.” “5. Qualora il trasferimento riguardi imprese nei confronti delle quali vi sia stata apertura della liquidazione giudiziale o di concordato preventivo liquidatorio, ovvero emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata, i rapporti di lavoro continuano con il cessionario. Tuttavia, in tali ipotesi, nel corso delle consultazioni di cui ai precedenti commi, possono comunque stipularsi, con finalità di salvaguardia dell’occupazione, contratti collettivi ai sensi dell’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in deroga all’articolo 2112, commi 1, 3 e 4, del codice civile c.c. art. 2112; resta altresì salva la possibilità di accordi individuali, anche in caso di esodo incentivato dal rapporto di lavoro, da sottoscriversi nelle sedi di cui all’articolo 2113, ultimo comma del codice civile.” In merito a tale ultima norma va ricordato che la giurisprudenza europea ne aveva escluso la compatibilità con la Direttiva rispetto alla sua precedente formulazione. Ciò nella parte in cui consentiva la deroga al trasferimento dei rapporti di lavoro in caso di impresa in stato di crisi, non potendosi equiparare, secondo la Corte, tale ipotesi alle procedure concorsuali con finalità tipicamente liquidatoria, per le quali sole il diritto euro comune ammette la deroga. La modifica della norma aveva pertanto comportato la previsione del citato comma 4 bis, riferibile ai casi in cui la procedura concorsuale non abbia finalità liquidatoria, come pure l’eliminazione dal comma 5 del riferimento alle imprese di cui fosse dichiarato lo stato di crisi. La posizione della recente giurisprudenza sul caso Nel menzionato quadro normativo e per il punto qui esaminato le soluzioni nelle pronunce divergono. Il Tribunale di Roma (est. Cottatellucci) valorizza il fattore della prosecuzione dell’attività da parte di Alitalia, escludendo che ITA abbia offerto la prova che ciò “altro scopo non abbia avuto se non quello di evitare il progressivo deterioramento del valore dell’impresa in vista della sua liquidazione. Viene osservato inoltre che la modifica dell’art. 47, d.lgs. 428/1990, a seguito della condanna europea, mirava a superare la precedente formulazione ritenuta dalla Corte non conforme alla disciplina unionale in quanto consentiva di derogare alla specifica tutela conseguente alla disciplina sul trasferimento dei rapporti di lavoro nel caso di cessione di azienda o di ramo di essa anche nelle ipotesi di crisi aziendale che fosse priva dei requisiti propri della liquidazione. Il focus delle osservazioni della Corte in quella decisione si rileva essere incentrato proprio sulla non sovrapponibilità della nozione dell’impresa in stato di insolvenza di matrice europea con la categoria dell’impresa in stato di crisi aziendale adottata dal legislatore nazionale. Proprio a marcare la differenza, per escludere un’ingiustificata estensione della portata derogatoria dell’art. 5 della direttiva, la Corte indicava una serie di criteri, uno dei quali, anche per la più evidente e rilevabile materialità, è individuato appunto nella prosecuzione dell’attività dell’impresa”. La nuova delimitazione della norma nazionale è più rigorosa e riguarda appunto le sole ipotesi in cui “la procedura di insolvenza analoga” sia aperta in vista della liquidazione dei beni, con la conseguenza di perimetrare la fattispecie escludendo dalla deroga tutte le situazioni in cui non si verifichi la continuazione o la mancata cessazione dell’attività. Il carattere derogatorio della disposizione imporrebbe dunque di adottare criteri di stretta interpretazione, ad evitare che qualsiasi procedura in cui sia prevista anche la dismissione di beni o di contratti, ma non la cessazione delle attività, possa situarsi in deroga all’art. 2112 c.c., riproponendo in questo modo esattamente la ragioni di censura che hanno condotto poi alla sentenza di condanna dell’Italia. Viene inoltre osservato che la giurisprudenza della Corte di Giustizia è ferma nel distinguere le procedure orientate esclusivamente alla liquidazione dei beni da quelle che prevedono invece la prosecuzione dell’attività. Questo discrimen, per il giudice romano, è suscettibile di qualche contemperamento, a condizione però che, in questa direzione, non si finisca per neutralizzare proprio i criteri che sono stati espressi dalla Corte nella sua sentenza di condanna all’Italia. E’ pur vero che vi potrebbe essere prosecuzione dell’attività pur in presenza di una finalità liquidatoria dei beni e che per un certo periodo possa essersi verificata una sorta di compresenza dei due aspetti, ma occorre ai fini della deroga che  la prosecuzione dell’attività imprenditoriale altro scopo non abbia se non quello di evitare il progressivo deterioramento del valore dell’impresa in vista della sua liquidazione. A questo proposito rileva il giudice romano che per l’Operazione Alitalia-ITA, non solo non è stata data prova di ciò, ma neppure esistono allegazioni puntuali e convincenti su questo argomento. L’unico dato reale di cui si dispone è che una procedura di amministrazione straordinaria protrattasi per quattro anni e mezzo ha determinato la cessione di beni e contratti a fronte del corrispettivo di un euro. Che tutto questo sia valso, per usare l’espressione della Corte, ad “eliminare il grave rischio di un complessivo deterioramento del valore dell’impresa ceduta o delle condizioni di vita e di lavoro della mano d’opera” resterebbe appunto solo un’ipotesi al punto che non si può ritenere, di fronte a un esito tanto incerto e discutibile, che veramente la procedura di amministrazione straordinaria altra finalità non abbia avuto sin dal suo esordio che quella di provvedere alla liquidazione di beni e contratti. Ne vi è inoltre stato alcun accordo sindacale derogatorio ai sensi dell’art. 47, comma 5, L. 428/1990. Anche la sentenza del Tribunale di Milano di dicembre (est. Atanasio) esclude la possibilità di ricondurre il caso di specie all’ambito derogatorio e richiama la menzionata Corte di Giustizia 11/06/2009 causa C 561/07, sottolineando che, in tanto è possibile derogare agli artt. 3 e 4 della Direttiva in quanto ci si trovi all’interno di una procedura che abbia finalità liquidatoria effettuata sotto il controllo di una autorità competente. Senonché l’evenienza, nel caso di specie, sarebbe esclusa sotto diversi profili. In un passaggio della pronuncia si legge “La Direttiva parla di Autorità pubblica competente (anche il curatore delegato dall’Autorità) all’art. 5 commi 1 e 2; invece il successivo comma 3 parla proprio di “controllo giudiziario”; e la sentenza della Corte di Giustizia ribadisce plurime volte che deve trattarsi proprio di una Autorità competente (ma occorrerebbe accompagnare anche il termine “indipendente” e/o dell’Autorità Giudiziaria), proprio in quanto è indispensabile assicurare una sorta di terzietà. Nella fattispecie dell’Amministrazione straordinaria la terzietà ed indipendenza dell’Autorità competente è del tutto esclusa dalla circostanza che:  questa ha il controllo del soggetto cessionario, beneficiario dell’acquisto del ramo di azienda contro il pagamento di 1 Euro (ossia ITA); inoltre la procedura di straordinaria amministrazione oggetto di questo giudizio non è affatto “intellegibile” se è vero che, compiuta la scelta della prosecuzione dell’impresa per quattro anni e mezzo, ha poi improvvisamente virato verso una scelta di tipo liquidatorio senza che alcuno – in primis ITA odierna convenuta in questa sede – abbia dato conto dei vantaggi che ne siano in qualche modo scaturiti per l’impresa, per i creditori e, soprattutto, per i lavoratori.”. La pronuncia del Tribunale di Milano di giugno (est. Colosimo) è di segno diametralmente opposto, considerando la fattispecie di causa rientrante nel perimetro derogatorio all’art. 2112 c.c. In particolare, il giudice ha ritenuto innegabile la finalità liquidatoria dell’amministrazione straordinaria di Alitalia e non ha dato rilievo alla circostanza che la prosecuzione dell’attività aziendale da parte sua sia durata per un tempo consistente. Viene tratta conferma della natura liquidatoria dal fatto che la relazione iniziale dell’Amministratore Straordinario era orientata alla cessione di complessi aziendali e che successivamente, all’esito delle valutazioni della Commissione europea, il programma sia stato aggiornato e, ferma la medesima finalità liquidatoria, sia stato orientato dalla cessione di beni e rapporti. Il giudice ha poi escluso la contrarierà alla normativa euro unitaria dell’art. 56, comma 3-bis d.lgs. 270/1999, considerando tale disposizione norma di disciplina e non di fattispecie e, come tale, compatibile con la mancata applicazione dell’art. 2112 c.c. alle ipotesi di cui si tratta. Il Tribunale ha inoltre ritenuto l’obiezione della sua implicita abrogazione ad opera dell’art. 47, L. 428/1990, modificato come si è detto; in particolare tale abrogazione viene esclusa  richiamando la Corte di Giustizia la quale ha chiarito che, “dal tenore letterale dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 risulta che l’ambito di applicazione di tale disposizione e, conseguentemente, della deroga da essa prevista non è limitato alle imprese, agli stabilimenti o alle parti di imprese o di stabilimenti la cui attività sia stata definitivamente interrotta prima della cessione o successivamente a quest’ultima. Infatti, tale articolo 5, paragrafo 1, dal momento che prevede che i diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento non sono trasferiti al cessionario nel caso in cui sussistano i presupposti stabiliti in tale disposizione, implica che un’impresa o una parte di impresa ancora in attività debba poter essere ceduta beneficiando, al contempo, della deroga prevista in detta disposizione. Così facendo, la direttiva 2001/23 previene il rischio che l’impresa, lo stabilimento o la parte di impresa o di stabilimento di cui trattasi si svaluti prima che il cessionario rilevi, nell’ambito della procedura fallimentare aperta ai fini della liquidazione dei beni del cedente, una parte del patrimonio e/o delle attività del cedente ritenute redditizie. Tale deroga mira, dunque, a eliminare il grave rischio di un complessivo deterioramento del valore dell’impresa ceduta o delle condizioni di vita e di lavoro della mano d’opera, che sarebbe in contrasto con le finalità del trattato (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 1991, d’Urso e a., C‑362/89, EU:C:1991:326, punto 31 e giurisprudenza ivi citata)”(CGUE, 28 aprile 2022, C-237/20, Federatie Nederlandse Vakbeweging). Analogamente si pone, nel senso della sussistenza di una deroga all’applicazione dell’art. 2112 c.c., la sentenza del Tribunale di Roma di dicembre (est. Tizzano). Secondo il giudice, in effetti, le uniche ipotesi nelle quali la Direttiva ammette la deroga al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’impresa sono, ai sensi dell’art. 5, par. 1, quelle nelle quali l’impresa è oggetto di una “procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente (…) e che si svolgono sotto il controllo di un’autorità pubblica competente”, o è in una “situazione di grave crisi economica quale definita dal diritto nazionale, purché tale situazione sia dichiarata da un’autorità pubblica competente e sia aperta al controllo giudiziario (par. 3). A questa disciplina, osserva il giudice romano, si affianca l’art. 56, comma 3 bis, d.lgs. 270/1999 (già menzionato). La norma, letteralmente intesa, consentendo la deroga all’art. 2112 c.c. anche nei casi in cui la procedura aperta nei confronti del cedente miri al proseguimento dell’attività imprenditoriale, sembra porsi in contrasto con la Direttiva  che impone la finalità liquidatoria. Ma un’interpretazione adeguatrice corretta è quella secondo cui la cessione di azienda posta in essere nell’ambito dell’amministrazione straordinaria allorquando l’obiettivo è di cedere il compendio interessato, ha comunque natura liquidatoria. Essa, infatti, ha un orizzonte temporale limitato a un anno e l’an e il quomodo della vendita sono rigidamente vincolati. Di conseguenza, si giustifica in questo caso la deroga all’art. 2112 c.c., non subordinata all’esistenza di un accordo sindacale. L’art. 56, comma 3 bis, d.lgs. 270/1999 è inoltre norma speciale rispetto all’art. 47 L. 428/1990, poiché destinata alla regolamentazione dei casi di prosecuzione di esercizio di azienda finalizzata però alla liquidazione. Tale specialità consente di escludere che la norma sia stata superata dalla novella dell’art. 47 L. 428/1990. Nel caso di specie viene osservato come la procedura liquidatoria aveva come fine specifico, appunto, la liquidazione del compendio “aviation” attraverso la prosecuzione dell’azienda e, in tale contesto, l’interesse del ceto dei lavoratori si pone come recessivo rispetto all’interesse generale alla miglior collocazione sul mercato del compendio produttivo. Le ultime due pronunce menzionate si inseriscono nel dibattito che ritiene come la natura “liquidatoria” di una procedura di insolvenza e la “continuità” dell’esercizio di impresa si collochino su piani diversi e non si escludano l’un l’altra. E in effetti va osservato che, nei fatti, la natura “liquidatoria” può caratterizzare una cessione – che avviene nell’ambito di una procedura sotto controllo pubblico – nel senso non tanto di escluderla ma piuttosto di determinarne deviazioni rispetto alle logiche di mercato; deviazioni che da un lato ben possono vedere da parte del cedente il preferire la salvaguardia di qualcosa rispetto alla perdita del tutto (e non solo sul piano del ricavo ma anche su quello dell’interesse collettivo) e da parte dell’acquirente l’attuazione di opportunismi fondati sulla propria posizione di forza, con ciò venendo coniugate liquidazione e continuità. C.3. L’inquadramento dell’operazione quale trasferimento di ramo d’azienda Superate le due questioni più liquide, la vicenda ha offerto infine ai giudici lo spunto per ritornare sul dibattito relativo alla nozione di trasferimento d’azienda e di ramo d’azienda. Non vi è qui spazio per ripercorrere il lunghissimo percorso normativo e interpretativo sviluppatosi nel corso dei decenni ma è possibile indicare il cuore della soluzione condivisa dai giudici aditi, i quali propendono per qualificare l’Operazione come trasferimento di ramo d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., benché una pronuncia milanese ed una romana, come si è visto, collocandola nell’ambito della deroga. L’art. 2112, comma 5, c.c. definisce il trasferimento di ramo d’azienda quale articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”. Rispetto alla versione precedente della norma era peraltro venuto meno il riferimento alla necessità che il ramo d’azienda sia anche preesistente. In estrema sintesi nelle tre pronunce viene messo a fuoco, richiamando i precedenti della Corte di Giustizia, che è configurabile un ramo di azienda ogniqualvolta sia possibile individuare una articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata. Si sottolinea che il requisito dell’autonomia funzionale “va interpretato non già nel senso che richiede il mantenimento dell’organizzazione specifica imposta dall’imprenditore ai diversi fattori di produzione trasferiti, ma, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 42 e 44 delle sue conclusioni, nel senso che presuppone il mantenimento del nesso funzionale di interdipendenza e complementarità fra tali fattori. Infatti, il mantenimento di un siffatto nesso funzionale tra i vari fattori trasferiti consente al cessionario di utilizzare questi ultimi, anche se essi sono integrati, dopo il trasferimento, in una nuova diversa struttura organizzativa al (v., in questo senso, sentenza 4 aprile 1994, causa C-392/92, Schmidt, Racc. pag. I-1311, punto 17)” (CGUE, 12 febbraio 2009, C-466/07, Klarenberg, §§ 48-49). Requisito fondamentale ai fini della genuinità del negozio è che l’entità trasferita – sia essa l’azienda complessivamente considerata, ovvero solo una parte di essa – mantenga il nesso funzionale tra diversi fattori di produzione e le proprie caratteristiche organizzative e che, conseguentemente, il cessionario possa utilizzare questi stessi fattori al fine di proseguire un’attività economica identica o analoga. Dunque, ciò che è necessario è che risulti preservata l’attitudine produttiva tra le componenti del ramo ceduto e, quindi, che non sia modificata la capacità dell’entità oggetto del trasferimento di svolgere l’originaria – e determinata – attività economica. E tendenzialmente in questo senso CGUE 20 luglio 2017, C-416/16; CGUE 9 settembre 2015, C-160/14; CGUE 12 febbraio 2009, C-466/07; Cass. 10 dicembre 2021, n. 39414; Cass. 19 novembre 2021, n. 35666; Cass. 4 agosto 2021, n. 22249 e Cass. 31 luglio 2017, n. 19034. E nel caso dell’Operazione, secondo i giudici, risulta provato che in attuazione del “contratto di cessione del complesso di beni e contratti” del 14 ottobre 2021 il giorno successivo sono stati trasferiti da Alitalia a ITA alcuni aeromobili e con questi sono stati trasferiti i diritti sulle rotte, gli slot, i sistemi informativi a supporto, l’insieme delle informazioni tecnico commerciali e delle esperienze tecnico industriali, tutti i programmi per gli elaboratori elettronici e i computer. Che l’oggetto della cessione costituisca un’entità dotata della propria autonomia funzionale è inoltre provato dal fatto che, senza soluzione di continuità, è stato assicurato il servizio aereo dal 14 al 15 ottobre e che gli aeromobili hanno volato sulle rotte programmate e secondo gli slot oggetto della cessione. D. L’intervento normativo di interpretazione autentica In questo vivace quadro giurisprudenziale è intervenuto il DL 29 settembre 2023, n. 131, convertito con L. 27 novembre 2023 n. 169, che all’art. 6 “Disposizioni di interpretazione autentica in materia di cessione di complessi aziendali da parte di aziende ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria” così stabilisce: “1. In coerenza con l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, l’articolo 56, comma 3-bis, del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, si interpreta nel senso che si intendono in ogni caso operazioni effettuate in vista della liquidazione dei beni del cedente che non costituiscono trasferimento di azienda, di ramo o di parti dell’azienda agli effetti previsti dall’articolo 2112 del codice civile, le cessioni poste in essere in esecuzione del programma di cui all’articolo 27, comma 2, lettere a) e b-bis), del medesimo decreto legislativo, qualora siano effettuate sulla base di decisioni della Commissione europea che escludano la continuità economica fra cedente e cessionario.” Si leggeva in una nota del Consiglio dei Ministri n. 51 del 25 settembre 2023 che “Tenuto conto che è sorto un contrasto giurisprudenziale in merito al fatto che vi sia o meno una discontinuità aziendale tra Alitalia-Società Aerea Italiana e Ita-Italia Trasporto Aereo S.p.a., e considerato che tale incertezza è suscettibile di determinare riflessi negativi sia sui rapporti giuridici sia sulla finanza pubblica, si è ritenuto necessario approvare una norma interpretativa che, in coerenza con le decisioni della Commissione europea, esclude che nel passaggio da Alitalia a Ita vi sia continuità fra le due aziende”. Il Governo fa dunque espressamente riferimento a un contrasto giurisdizionale in essere e quindi pare proprio che, nel pieno degli accertamenti su una questione per nulla semplice né irrilevante, la palla venga ritirata e la partita chiusa d’autorità. È certamente peculiare, benché ormai quasi la regola, che sia stato utilizzato il mezzo del decreto-legge che dovrebbe essere adottato “in casi straordinari di necessità e urgenza”, e che con esso si sia inteso risolvere un contrasto giurisprudenziale che riguarda una sola azienda. E ciò in pieno contenzioso e senza attendere il vaglio della Corte d’Appello e della Cassazione. E altresì appare emblematico che la norma sia “annegata” nel consueto provvedimento “tratta tutto”, nel caso di specie rubricato “Misure urgenti in materia di energia, interventi per sostenere il potere di acquisto e a tutela del risparmio”. Vi è da domandarsi se la materia sia realmente nella disponibilità dell’Esecutivo e, prima ancora del legislatore nazionale, afferendo infatti alla “gestione” di un contesto normativo comunitario (la Direttiva 2001/23/CE). Inoltre, la legge d’interpretazione autentica soggiace al limite di dover indicare un significato “possibile”, che ponga il proprio fondamento nella norma interpretata, cosa qui almeno opinabile (Cort. Cost., 26 settembre 2014, n. 227). Infine, non stona domandarsi se la norma “da interpretare” sia quella giusta o se invece sia già stata implicitamente abrogata o superata dall’art. 47 L. 428/1990. Nell’insieme la scena che si presenta è pressoché la seguente: nel corso di un complesso e vivace contenzioso, il Governo detta la norma di soluzione del caso specifico, interpretando direttamente una norma interna, assai probabilmente non più disciplinante la materia e comunque attuativa del diritto euro comune ad esso sottratto, dandovi un significato che si è dubitato ritenersi “possibile” e lo fa basandosi su un atto della Commissione, organo sprovvisto di alcun potere legislativo e giurisdizionale. Ce n’è quanto basta per rimanere disorientati, se non addirittura per ipotizzare – almeno secondo alcuni – la presenza di una intromissione nella corretta amministrazione della giustizia, in violazione dell’articolo 6, par. 1 CEDU (Cass., 20 aprile 2023, n. 10694). Filippo Capurro, avvocato in Milano Visualizza i documenti: Trib. Milano, 1° giugno 2023, n. 1227; Trib. Milano, 12 dicembre 2023, n. 2783; Trib. Roma, 13 dicembre 2023, n. 11341 Scarica il commento in PDF L'articolo L’operazione Alitalia-ITA: quando un vetro andava in pezzi ai ragazzi si “toglieva il pallone”. E quando a “giocare” sono gli adulti? sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.

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