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la-clausola-di-proroga-della-competenza-giurisdizionale-contenuta-in-condizioni-generali-di-contratto-non-sottoscritte-ne-espressamente-richiamata-nel-testo-contrattuale-e-inefficace
La sentenza in commento (Cass., 30 maggio 2023, n. 15226) si pronuncia su due questioni, la prima, nota, concernente la necessità, ai fini di impedire la decadenza, di impugnare i singoli contratti a termine nell’ambito di una successione – nel caso di specie di otto contratti intervenuti ad intervalli inferiori a sessanta giorni – la seconda concernente la legittimità dell’ultimo e unico contratto a termine impugnato sotto il profilo della sussistenza o meno della temporaneità delle esigenze. Le conclusioni della Suprema Corte si collocano nel solco della rigorosa giurisprudenza degli ultimi anni con riferimento alla decadenza dall’impugnazione, mentre con riferimento alla rilevanza della temporaneità – richiamando noti principi comunitari ed in continuità con le pronunce in tema di somministrazione a termine – potrebbero aprire spiragli interpretativi inattesi, anche oltre la normativa vigente all’epoca dei fatti di causa, l’art. 1 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368. La Corte di Cassazione respinge il primo motivo di ricorso del lavoratore, confermando che il termine di decadenza di cui all’art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604 decorre dalla data di scadenza originariamente pattuita in ciascun contratto, non essendo ammissibile un’interpretazione unitaria dei plurimi contratti a termine succedutisi, sulla base del mero affidamento che la reiterazione degli stessi potrebbe ingenerare nel lavoratore (tra le varie Cass., 30 settembre 2019, n. 24356; Cass., 12 agosto 2019, n. 21318 e Cass., 21 novembre 2018, n. 30134). Né, a dire della Corte, è rilevante ad impedire la decadenza dall’impugnazione la circostanza che i successivi contratti siano stati stipulati entro il termine di sessanta giorni l’uno dall’altro. Venendo invece all’ulteriore profilo sottoposto all’attenzione della Corte, si tratta della lamentata violazione dell’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001 – che disciplinava i contratti a tempo determinato e che nel testo vigente al momento della stipulazione dell’ultimo contratto della serie oggetto di causa, consentiva l’apposizione di un termine per la durata massima di 36 mesi in assenza di alcuna causale – alla luce del considerando n. 6 della direttiva 1999/70/CE del consiglio, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato («la risoluzione del Consiglio del 9 febbraio 1999 relativa agli orientamenti in materia di occupazione per il 1999 invita le parti sociali a tutti i livelli appropriati a negoziare accordi per modernizzare l’organizzazione del lavoro, comprese forme flessibili di lavoro, al fine di rendere le imprese produttive e competitive e di realizzare il necessario equilibrio tra la flessibilità e la sicurezza»). Il punto dipartenza della Suprema Corte è la clausola 5 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 1999/70/CE «Misure di prevenzione degli abusi» che, come noto, dispone «Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, (…)  dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi (…)  una o più misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti. 2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato: a) devono essere considerati «successivi»; b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato». La Suprema Corte ricorda che le misure di prevenzione degli abusi, per come previste dalla citata direttiva e dall’allegato accordo quadro, ben possono essere tra loro alternative e che, quindi, anche il solo limite massimo di durata previsto dalla normativa nazionale possa soddisfare il presupposto di legittimità. Ciò premesso, la Corte ritiene necessario spingersi oltre, verificando la “tenuta” della detta ricostruzione normativa e sistematica, di compatibilità tra normativa nazionale e cornice comunitaria, alla luce delle conclusioni di una recente pronuncia della Corte di Giustizia (C. giust., 14 ottobre 2020, causa C– 681/18, JH) resa nella diversa fattispecie della somministrazione a termine, ritenuta tuttavia dalla Suprema Corte “contigua” a quella del contratto a termine, stante la disciplina nazionale e le sue modifiche, in entrambi gli istituti nel medesimo senso dell’eliminazione della necessità delle causali. Con tale pronuncia la Corte di Giustizia ha stabilito che, al fine di evitare gli abusi e le elusioni della direttiva 1999/70/CE, «la disposizione nazionale deve essere interpretata nel senso che essa osta a che uno Stato membro non adotti alcuna misura al fine di preservare la natura temporanea del lavoro tramite agenzia interinale; nonché ad una normativa nazionale che non preveda alcuna misura al fine di evitare l’assegnazione ad un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale di missioni successive presso la stessa impresa utilizzatrice con lo scopo di eludere le disposizioni della direttiva 2008/104 nel suo insieme». Riferita alla somministrazione, tale conclusione imponeva dunque di verificare «a) se le ripetute missioni determinassero, valutate nel loro complesso, una durata del rapporto elusiva della sua natura temporanea; b) se sia ravvisabile un abuso di tale forma di rapporto nelle missioni successive assegnate al medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice; c) se da ripetersi delle missioni risulti compromesso l’equilibrio realizzato da tale direttiva tra la flessibilità per i datori di lavoro e la sicurezza per i lavoratori a discapito di quest’ultima (…)». La Suprema Corte ritiene che tali considerazioni debbano essere effettuate anche con riferimento alla normativa disciplinante i contratti a termine poiché anche per tali contratti all’epoca di fatti di causa era previsto un generale regime di acausalità. La conseguenza cui la Corte perviene è che, come nelle ipotesi già in precedenza esaminate, della successione di missioni nell’ambito della somministrazione a termine, l’intervenuta decadenza dall’impugnazione dei precedenti contratti non escluda l’esame degli stessi, non più impugnabili, o meglio, della loro successione, come antecedenti storici, ai fini della valutazione della legittimità o meno dell’ultimo della serie sotto il profilo della temporaneità delle esigenze e dell’eventuale abuso dell’istituto. La pronuncia in esame estende dunque alla successione di contratti a termine le conclusioni cui di recente la stessa Suprema Corte era giunta in tema di reiterazione abusiva delle missioni. Su tale reiterazione si è espressa di recente anche la Corte di Appello di Milano, con la sentenza dell’8 febbraio 2023 n. 6 uniformandosi, nel giudizio di rinvio, al principio espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 22861/2022, ritenendo, nella fattispecie di reiterazione di 56 contratti di somministrazione a termine, stipulati con lo stesso lavoratore per lo svolgimento della medesima mansione, protrattisi per oltre 53 mesi, che «il contratto somministrazione impugnato sebbene formalmente rispondente ai dettami del d.lgs. 81/2015 deve ritenersi nullo perché stipulato al termine di una lunga serie di rinnovi negoziali che per le loro caratteristiche oggettive si atteggia come lo strumento illecito per eludere la normativa posta a tutela del lavoratore interinale e in definitiva per impedire a quest’ultimo di aspirare ad una legittima stabilizzazione». La Corte, con la sentenza Cass., 11 ottobre 2022, n. 29570 aveva, nuovamente, espresso tale principio, affermando che «una interpretazione conforme della normativa interna impone di verificare se nel caso concreto anche sulla base degli indici rivelatori indicati dalla Corte di giustizia nonostante l’intervenuta decadenza dell’impugnativa del singolo contratto successivo e continuo invio mediante missioni del medesimo lavoratore possa condurre ad un abusivo ricorso all’istituto della somministrazione» (sul tema, v. Francesco ANDRETTA, Durata massima, decadenza e fraudolenza nei contratti a termine: le cinque vie della nomofilassi neotomista, in  Labor, 31 ottobre 2022). Filo conduttore del ragionamento della Corte resta il principio immanente nell’ordinamento che impone di considerare il rapporto a tempo indeterminato e quello a termine in un rapporto di regola ad eccezione. Tale principio vale certamente per la somministrazione a termine, ma tanto più per il contratto a termine tout court. È lecito dunque domandarsi se la pronuncia potrà rivestire una portata pratica anche con riferimento alla normativa attualmente in vigore per i contratti a termine. Infatti, mentre il d.lgs. n. 368/2001 nel testo vigente all’epoca dei fatti di causa prevedeva unicamente un limite massimo di durata di trentasei mesi, la normativa attuale quale presidio della temporaneità pone sia un limite complessivo di durata, di ventiquattro mesi, sia un limite massimo di durata della acausalità, di 12 mesi, imponendo viceversa l’obbligo di causali previste dalla contrattazione collettiva nel caso di suo superamento, sempre nella cornice dei ventiquattro mesi. Lo spazio, di fatto, per una reiterazione di contratti a termine acausali nell’ambito dei 12 mesi non sembra ampio, ma resta la portata rilevante della pronuncia in esame che aggiunge un ulteriore tassello nel senso dell’interpretazione comunitariamente orientata della normativa nazionale, persino superando il limite imposto dall’intervenuta decadenza. Sara Huge, avvocato in Milano Visualizza il documento: Cass., 30 maggio 2023, n. 15226 Scarica il commento in PDF L'articolo Successione di contratti a termine tra formale decadenza e sostanzialistica valutazione della temporaneità delle esigenze sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.

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