Applicabile il termine ex art. 392 c.p.c. alla riassunzione della causa restituita al giudice di primo grado dopo la cassazione dell’erroneo diniego di giurisdizione in cui il giudice sia incorso
Cass., sent., 14 novembre 2019, n. 29623 Pres. Napoletano – Rel. Bellè
Impugnazioni civili – Erroneo diniego di giurisdizione da parte del giudice di primo grado – Rilievo del vizio in cassazione – Rimessione della causa al primo giudice – Riassunzione della causa – Termine applicabile (C.p.c. artt. 50, 353, 367, 383, 392; L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 59)
[1] La riassunzione del processo di primo grado conseguente all’affermazione della competenza giurisdizionale dell’A.G.O., denegata nei gradi di merito e fatta dalla Corte di Cassazione in seguito a ricorso ordinario per motivo attinente alla giurisdizione, va effettuata nel termine previsto in via generale dall’art. 392 c.p.c., secondo la misura di esso ratione temporis stabilita, e non nel termine di cui all’art. 367 c.p.c., comma 2, riguardante l’ipotesi di pronuncia, affermativa della giurisdizione del giudice ordinario, resa in sede di regolamento di giurisdizione, nè in quello di cui all’art. 353, comma 2, c.p.c., né infine nei termini stabiliti dall’art. 50 c.p.c. o dall’art. 59, comma 2, l. n. 69/2009.
CASO
[1] Dopo che tanto il tribunale adito in prime cure che la Corte d’appello investita del successivo gravame avevano declinato la giurisdizione a favore del giudice amministrativo nei riguardi della domanda proposta da un ente pubblico territoriale contro una propria dipendente per la ripetizione a titolo di indebito di somme a quella, in precedenza, corrisposte, la Cassazione, con sentenza pronunciata nel 2010, ha affermato l’appartenenza della controversia al giudice ordinario, conseguentemente rinviandola, a norma del comb. disp. degli artt. 353, 2° co., e 383, 3° co., c.p.c., allo stesso tribunale che se ne era originariamente spogliato. Ripresa la causa davanti a quest’ultimo, ne era però seguita la declaratoria di estinzione, per essere, il ricorso in riassunzione, sopravvenuto alla scadenza del termine semestrale di cui al previgente testo, ratione temporis applicabile, dell’art. 50 c.p.c. ovvero, in alternativa, al successivo art. 367, 2° co.: declaratoria confermata in appello, seppur riconducendo il termine semestrale, la cui inosservanza avrebbe determinato l’anticipata mors litis, alla disposizione dell’art. 353, 2° co., c.p.c. (anche questo nella sua previgente dizione).
Nuovamente interpellato, il giudice di legittimità ha ancora una volta sconfessato le valutazioni dei giudici di merito, riconoscendo la tempestività dell’atto di riassunzione proposto, in quanto non soggetto al termine semestrale di cui alle norme dianzi citate, bensì al termine annuale regolato dall’art. 392 c.p.c., nel testo anteriore alla riforma attuata con l. 18 giugno 2009, n. 69, e applicabile alla fattispecie per ragioni di diritto intertemporale, trattandosi di giudizio instaurato prima dell’entrata in vigore di detta riforma (v. sub art. 58, 1° co., l. n. 69/2009).
SOLUZIONE
[1] Il ragionamento della Suprema Corte si è dipanato attraverso il confronto, l’uno dopo l’altro, con i diversi termini di riassunzione che nel corso del giudizio sono stati, di volta in volta, ritenuti confacenti alla fattispecie: e la conclusione cui, alfine, è pervenuta, nei termini della necessità di far capo alla regola generale, per i giudizi di rinvio dopo la cassazione, di cui all’art. 392 c.p.c., è scaturita dalla constatazione, progressivamente maturata, che nessuno degli altri termini passati in rassegna potesse utilmente sovvenire nel caso concreto.
A partire a) da quello, messo in campo dal giudice di seconde cure, di cui all’art. 353, 2° co., c.p.c., siccome concernente i casi in cui, a dichiarare la giurisdizione negata dal primo giudice, sia stato il giudice d’appello anziché, come nella fattispecie in esame, la Corte di cassazione; b) per passare a quello, invocato dal giudice di primo grado, di cui all’art. 50 c.p.c., in quanto riguardante le ipotesi di riassunzione del giudizio a séguito di declaratoria di incompetenza anziché di difetto di giurisdizione; c) trascorrendo poi a quello, mobilitato in sede di controricorso nel giudizio di legittimità, disciplinato dall’art. 59, 2° co., l. n. 69/2009, siccome applicabile ai casi di translatio del procedimento da una giurisdizione all’altra, laddove, nella fattispecie, a proclamare l’appartenenza della causa al giudice ordinario era stata la Cassazione nella veste, essa pure, di organo della giurisdizione ordinaria; d) per venire, infine, a quello – evocato a suo tempo, in una al distinto termine ex art. 50 c.p.c., dal Tribunale adito in prima istanza – posto dall’art. 367, 2° co., c.p.c., in quanto attinente alla riassunzione in esito al regolamento di giurisdizione, mentre, nella specie, si trattava di ricorso ordinario in cassazione esperito a séguito di declinatoria della giurisdizione già impugnata nelle fasi di merito del procedimento.
Inevitabile è risultato, a quel punto, l’approdo alla conclusione sopradescritta, con annessa rimessione della causa al giudice di prime cure in forza del comb. disp. degli artt. 354, 2° co., e 383, 3° co., c.p.c., giacché era stato proprio e innanzitutto quel giudice a incorrere nell’erronea pronuncia di avvenuta estinzione del giudizio, disvelata dal giudice di legittimità sulla base del ragionamento appena illustrato.
QUESTIONI
[1] L’impostazione formale del percorso argomentativo seguito dalla Suprema Corte ne tradisce l’effettiva sostanza. L’applicabilità, nel caso sottoposto al suo sindacato, del termine di riassunzione di cui all’art. 392 c.p.c. non rappresenta infatti, come pur potrebbe sembrare, il posterius, ossia il punto di arrivo, dell’operazione che ha visto la progressiva eliminazione dalla scena di tutti gli altri termini astrattamente concorrenti allo stesso fine, bensì il prius di quell’operazione medesima, ossia la premessa data la quale soltanto, la pertinenza di quei termini, è stato possibile escludere. Di questi, o, almeno, di alcuni di essi – e il riferimento è, segnatamente, al termine di cui all’art. 353, 2° co., c.p.c. -, ben si potrebbe predicare l’applicabilità in via analogica alla fattispecie in esame: se non fosse che, delle condizioni che consentono il ricorso all’analogia per l’integrazione della disciplina di un determinato istituto, manca, nella circostanza, quella primaria, vale a dire la presenza di una lacuna nel tessuto di quella disciplina. Ed invero, nel momento in cui la norma che regola la cassazione con rinvio – leggi: l’art. 383 cp.c. – contempla espressamente l’eventualità del rinvio della causa al primo giudice, là dove la Corte abbia rilevato una nullità del procedimento che avrebbe imposto analogo rinvio da parte del giudice dell’appello, è evidente che il giudizio destinato ad essere ripreso in quella sede si atteggi come autentico giudizio di rinvio dopo la cassazione (cfr. R. Giordano, sub art. 383, in L.P. Comoglio – C. Consolo – B. Sassani – R. Vaccarella [diretto da], Commentario del codice di procedura civile, IV, Torino, 2013, 1093, che qualifica questa come ipotesi di rinvio restitutorio), sì che il termine entro cui provvedere alla relativa riassunzione non possa che essere quello fissato in via generale per questa tipologia di giudizi dal predetto art. 392 c.p.c.
Di ciò la Corte mostra piena consapevolezza, allorché, nell’abiurare a quella sua precedente giurisprudenza secondo cui vi sarebbe stato spazio, nel caso di specie, per l’applicazione analogica dell’art. 50 c.p.c. (così Cass., 31 maggio 2017, n. 13734; Cass., 7 ottobre 2015, n. 20105), osserva che «in realtà sussiste [nel medesimo caso] una disposizione direttamente applicabile e dunque manca la lacuna cui si intenderebbe sopperire con l’analogia»: quanto le sarebbe bastato, una volta dimostrata la presenza di quella «disposizione direttamente applicabile», per risparmiarsi la minuta rassegna di termini concorrenti di cui in precedenza si è dato atto.
Il problema qui affrontato e risolto non ha interamente smarrito la sua attualità con la riforma ex l. n. 69/2009. E’ vero che, per effetto di quell’intervento normativo, il termine di cui all’art. 392 c.p.c. ha visto ridotta la sua durata, da annuale che era a trimestrale, così come trimestrali, da semestrali che erano, sono divenuti i termini di cui agli artt. 50 e 353, 2° co., c.p.c. e 59, 2° co., l. n. 69/2009. Ma differente permane il rispettivo dies a quo – comunicazione dell’ordinanza che ha pronunciato sulla competenza, per il termine ex art. 50 c.p.c.; notificazione della sentenza del giudice d’appello, per quello ex art. 353, 2° co., c.p.c.; pubblicazione della sentenza della Cassazione, per quello ex art. 392 c.p.c.; passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa del difetto di giurisdizione, per quello ex art. 59, 2° co., l. n. 69/2009 -, senza contare che ampiezza semestrale continua ad avere il termine di riassunzione della causa all’esito del regolamento di giurisdizione, di cui all’art. 367, 2° co., c.p.c.
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