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Cass., sez. II., 13 settembre 2024, n. 24607 Pres. Di Virgilio, Rel. Caponi

Prova civile – Documento – Copia – Disconoscimento della conformità rispetto all’originale – Sottoscrizione – (C.c. artt. 2712, 2719, 2724; C.p.c. artt. 214, 215, 216)

Massima: “In tema di prova documentale, vanno distinti il disconoscimento della conformità della fotocopia all’originale e il disconoscimento della sottoscrizione apposta in calce ad una scrittura, sebbene in entrambi il disconoscimento della parte contro cui sono prodotte debba essere espresso ex art. 2719 c.c. Se infatti il disconoscimento è circoscritto alla conformità della copia all’originale, allora si dischiude la possibilità di dimostrare la conformità attraverso strumenti diversi dalla produzione dell’originale; se invece il disconoscimento ha ad oggetto (anche) la sottoscrizione, allora non vi è altro strumento che la verificazione sull’originale, salvo che la parte interessata dimostri di aver perduto quest’ultimo senza colpa, nel qual caso è ammessa ex art. 2724 c.c. la prova per testimoni o per presunzioni”.

CASO

La vicenda in esame trae le mosse da una successione legittima del 1973 a seguito della quale i quattro figli del de cuius diventano proprietari pro quota di un compendio immobiliare.

Con scrittura privata nel 2007 tre di loro eredi cedono le quote a società a responsabilità limitata del quarto fratello, che in veste di amministratore le liquida in circa 150.000 euro ciascuna.

In epoca successiva, ma anteriore al 2013, uno dei tre originari eredi e la società del quarto fratello stipulano un preliminare di vendita (nel quale il primo figura come promissario acquirente) avente ad oggetto un’unità in costruzione all’interno dell’immobile, dietro corresponsione dello stesso importo nel 2007 indicato come corrispettivo per l singola quota.

Nel 2013 il promissario acquirente, con l’amministratrice di sostegno ossia la sorella già una degli originali coeredi, conviene dinanzi al tribunale la società promittente venditrice per la dichiarazione di nullità del preliminare, facendo valere la contrarietà a norme imperative ex art. 1418 c.c. in ragione della propria incapacità, la mancanza di forma scritta ex art. 1350 c.c. e, in via subordinata, la risoluzione per inadempimento in virtù dell’asserita omessa consegna del bene.

In primo grado tutte le domande vengono rigettate; in appello è accolta la domanda subordinata di risoluzione contrattuale, con conseguente condanna alla restituzione del prezzo.

La venditrice convenuta ricorre per cassazione sulla base di nove motivi, di cui rilevanti ai fini della presente nota il terzo e il quarto, aventi rispettivamente ad oggetto l’erroneo accoglimento dell’istanza di verificazione della scrittura privata, prodotta solo in fotocopia, contenente il contratto preliminare, a seguito della quale la consulenza tecnica d’ufficio aveva accertato l’autenticità della firma del legale rappresentante della venditrice; e l’erronea ammissione della prova testimoniale circa l’esistenza del contratto preliminare, nonostante l’assenza di prova dello smarrimento incolpevole del documento, in questo caso sub violazione degli artt. 2697 e 2724 c.c.

SOLUZIONE

La Cassazione, disattendendo i primi due motivi e dichiarando assorbiti gli ultimi cinque, accoglie il ricorso relativamente ai due motivi sopra accennati soffermandosi sui rapporti tra i due istituti del disconoscimento della conformità della fotocopia all’originale e il disconoscimento avente invece ad oggetto la sottoscrizione apposta in calce ad una scrittura, entrambi da esprimersi (se il documento è prodotto in copia) con le forme di cui all’art. 2719 c.c. ma con la differenza operativa per cui se il disconoscimento ha ad oggetto la conformità e la sottoscrizione, l’unico strumento utile alla parte che ha prodotto il documento è la verificazione sull’originale, salvo il solo caso in cui si dimostri la perdita incolpevole e dunque operi la possibilità di prova per testimoni o presunzioni ex art. 2724 c.c.; mentre, se il disconoscimento (senza toccare il tema dell’autenticità della sottoscrizione) si limita alla contestazione della conformità della copia all’originale, la contestata conformità è dimostrabile “attraverso strumenti diversi dalla produzione dell’originale” e, dunque, con prova libera anche fuori dai ristretti requisiti dell’art. 2724 c.c.

Secondo la Corte infatti nel caso di specie la convenuta in primo grado aveva contestato l’esistenza stessa del preliminare, e dunque aveva esteso (dalla sola lettura della motivazione, non si comprende quanto esplicitamente) la contestazione all’autenticità della sottoscrizione; il chè avrebbe dovuto indurre il giudice territoriale a ritenere imprescindibile la produzione dell’originale e conseguentemente non ammettere il giudizio di verificazione in assenza dello stesso.

QUESTIONE

I confini tra i due “disconoscimenti” sono stati ripercorsi più volte negli ultimi anni, nei medesimi contenuti riportati nella sentenza in epigrafe, e in particolare (oltre che da Cass., 16998/2015 e 13425/2014 citate anche in motivazione) dalla recente Cass., 08/07/2024, n. 18491, che già osservava come diverso sia l’ambito di operatività delle norme di cui all’art. 214 c.p.c. e 2719 c.c. laddove si consideri che nel primo caso il disconoscimento mira ad escludere la riferibilità della provenienza della scrittura o della sottoscrizione al soggetto che risulta dalla stessa apparentemente autore, e nel secondo caso si discute (non della genuinità della scrittura, ma) soltanto della piena corrispondenza della riproduzione fotografica al documento originale, con la conseguenza che “la parte contro la quale sia stata prodotta una scrittura privata può effettuare un duplice disconoscimento, sia della sottoscrizione che, se prodotta in copia, della conformità all’originale: nel qual caso troverà applicazione il ribadito principio secondo cui, in tema di prova documentale, il disconoscimento, ai sensi dell’articolo 2719 del Cc, della conformità tra una scrittura privata e la copia fotostatica, prodotta in giudizio non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata, previsto dall’articolo 215, comma 1, n. 2, del Cpc, in quanto, mentre quest’ultimo, in mancanza di verificazione, preclude l’utilizzabilità della scrittura, la contestazione di cui all’articolo 2719 del Cc non impedisce al giudice di accertare la conformità della copia all’originale anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni”.

Nello stesso senso, nella recente Giurisprudenza di merito, App. Roma, 02/10/2023, n. 6243, in www.dejure.it, per cui il disconoscimento di cui all’art. 2719 c.c., e dunque quello vertente sulla conformità tra una scrittura privata e la copia fotostatica allegata in giudizio, non produce i medesimi effetti del disconoscimento “tipico” della scrittura privata, poiché, mentre quest’ultimo – in assenza di verificazione – preclude l’utilizzabilità della scrittura, la contestazione ex art. 2719 cod. civ. non vieta al giudicante di accertare la conformità della copia all’originale anche tramite altri mezzi di prova, comprese le presunzioni; inoltre, il disconoscimento delle copie fotostatiche, pur senza vincoli di forma, impone che la contestazione della conformità delle medesime all’originale venga compiuta, a pena di inefficacia, attraverso una dichiarazione che evidenzi in maniera chiara ed univoca il documento che si intende contestare e gli aspetti differenziali di quello allegato rispetto all’originale, non essendo bastevoli, infatti, né l’impiego di clausole di stile né di generiche asserzioni.

La precisazione offerta dalla Cassazione in ordine ai rapporti tra i due istituti offre il destro per una rassegna dei principali orientamenti giurisprudenziali che animano l’applicazione giurisprudenziale dei richiamati artt. 2712 e 2719 c.c., dagli strumenti tecnologicamente in via di parziale superamento come il telefax (che pure ancora App. Napoli, 17/01/2023, n. 183, in www.dejure.it e l’anno prima Cass., 24/08/2022 , n. 25310 hanno occasione di assimilare espressamente alle “produzioni meccaniche dell’art. 2712 c.c.”) alla più o meno nuova frontiera rappresentata dagli screenshot delle pagine social e dalla corrispondenza via cellulare, e in particolare quella veicolata attraverso il servizio WhatsApp, per il cui regime probatorio, in assenza di una normativa ad hoc a differenza di quanto previsto ad esempio in materia di corrispondenza informatica, le Corti applicano in via analogica regole tratte dalla disciplina in parola.

Quanto a quest’ultimo profilo, la sentenza più recente sembra Trib. Urbino, 07/07/2024, anch’essa in www.dejure.it, che conferma l’ormai pacifico rilievo per cui i messaggi WhatsApp ritualmente depositati possono assumere la veste di prova, sia pure chiedendo nel caso di specie (a fronte della specifica contestazione della conformità della schermata prodotta all’effettiva conversazione a suo tempo avvenuta tra le parti) la produzione fisica dei “supporti informatici” nei quali “sono presenti” le conversazioni; sempre nella giurisprudenza di merito, l’applicabilità dell’art. 2712 c.c. alla messaggistica WhatsApp è affermata espressamente da Trib. Roma, 30/05/2023, n. 5561, in Guida al dir., 2023, 29, in un caso di specie in cui il lavoratore ricorrente aveva impugnato il licenziamento intimato per manifesta insussistenza del fatto posto a base del recesso, e il giudice adito, nell’accogliere il ricorso, ha ritenuto che la contestazione mossa dalla resistente società datrice di lavoro fosse intervenuta tardivamente al di fuori delle preclusioni sancite dall’art. 416 c.p.c., e dunque i messaggi si dovevano ritenere non contestati.

Alle stesse conseguenze operative giunge la Giurisprudenza nella più solcata materia (perché in parte disciplinata normativamente) della posta elettronica sottoscritta con firma c.d. semplice:

Anche in questo caso infatti, come confermato recentemente dalla Cassazione, il supporto informatico rientra nell’alveo dell’art. 2712 c.c. e dunque “se non ne sono contestati la provenienza od il contenuto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate”, mentre “se ne sono contestati la provenienza od il contenuto, il giudice non può espungere quel documento dal novero delle prove utilizzabili, ma deve – in forza del disposto dell’art. 21 (oggi art. 20 comma 1-bis) del d.lgs. 82/2005 – valutarlo in una con tutti gli altri elementi disponibili e tenendo conto delle sue caratteristiche intrinseche di sicurezza, integrità, immodificabilità” (Cass., 21/05/2024, n. 14046).

Da questa premessa, ossia dall’idoneità del documento ad integrare la fattispecie dell’art. 2712 c.c., la Corte nella stessa decisione ha tratto la conclusione che la mail con firma semplice “è idone[a] a soddisfare il requisito della forma scritta ad probationem del contratto di assicurazione”, ciò a differenza del ragionamento invece adottato dalla corte d’appello nella sentenza in quel contesto impugnata, che si fondava sulla “pretesa, non codificata in modo espresso da alcuna disposizione di legge applicabile ratione temporis e così in via di mera interpretazione, di un requisito formale, vale a dire la firma elettronica certificata, quale unica garanzia dell’assoluta certezza contrattuale in ordine alla diversa regolamentazione degli assetti assicurativi e, quindi, quale unica modalità di estrinsecazione delle volontà delle parti contraenti: tanto, in base all’assetto normativo come ricostruito, si infrange” secondo la Cassazione “contro il principio della insopprimibile libertà delle forme, una volta esclusa l’inidoneità per definizione del messaggio di posta elettronica certificata privo di firma avanzata o digitale o qualificata”.

Applicazioni conformi sono rinvenibili nella giurisprudenza che esamina altre “copie” di originali informatici che il giudice può conoscere solo attraverso riproduzioni come nel caso di screenshot di pagine social e, in generale, da web.

Sin dal 2020 la Cassazione afferma che la conformità della riproduzione cartacea delle risultanze di un sito internet può essere oggetto di contestazione ai sensi dell’art. 2712 c.c. e delle norme del codice dell’amministrazione digitale, ma “al giudice è sempre consentito – anche d’ufficio ai sensi dell’art. 447 bis, comma 3, c.p.c., se applicabile – l’accertamento della contestata conformità con qualunque mezzo di prova, inclusa la richiesta di informazioni al gestore del servizio ai sensi dell’art. 213 c.p.c. ovvero, come nella specie, mediante verifica diretta del sito”; nel complesso caso di specie, era stata confermata la correttezza della verifica, svolta d’ufficio ed eseguita mediante accesso diretto al sito del servizio postale degli Emirati Arabi, dell’esito dell’invio di una raccomandata semplice, trasmessa per la disdetta di un contratto di comodato.

Si segnala infine la recente Trib. Cassino, 13/09/2023, n. 620, in www.dejure.it, che riconosce un inedito valore di “presunzione semplice” alla riproduzione fotografica, nel caso di specie la stampa cartacea di uno screenshot pubblicato bacheca di un social, che dunque non riconduce ad una più radicale inutilizzabilità processuale pur essendo stata nel caso di specie disconosciuta in modo esplicito e circostanziato.

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