Inesistenza della sentenza resa a non iudice: il referente temporale per la valutazione della potestas iudicandi del magistrato decidente
Cass., ord., 26 febbraio 2020, n. 5137 – Pres. Campanile – Rel. Marulli
[1] Sentenza civile – Pronuncia emessa da magistrato collocato a riposo in momento successivo alla rimessione della causa in decisione ma in data anteriore a quella della deliberazione quale risultante dal testo della sentenza – Inesistenza del provvedimento (C.p.c. artt. 132, 158, 161, 354)
[1] Deve considerarsi nulla ai sensi dell’art. 161, 2° co., c.p.c., siccome emessa a non iudice, la sentenza pronunciata da magistrato che risulti collocato a riposo già al momento della deliberazione del provvedimento. A tal fine non è consentito far capo al momento in cui il giudice abbia trattenuto la causa in decisione, allorché la data della deliberazione risulti dal documento della sentenza, giusta le previsioni dell’art. 13, 2° co., n. 5, c.p.c.
CASO
[1] Il titolare di un bene acquisito nell’àmbito di un’operazione di cartolarizzazione di pubblici immobili ha proposto nei confronti dell’INPS domanda di condanna al risarcimento, in solido con altri soggetti, dei danni derivatigli dall’erronea valutazione del bene medesimo. La domanda è stata accolta in prima istanza ma la sentenza, gravata innanzi alla Corte d’appello di Roma, è stata dichiarata affetta da nullità-inesistenza ex art. 161, 2° co., c.p.c. – con annessa rimessione della causa in primo grado ai sensi dell’art. 354, 1° co., dello stesso codice -, siccome emessa a non iudice, in quanto, per l’esattezza, pronunciata da magistrato che, alla data della pubblicazione del provvedimento, già risultava collocato a riposo.
Parte attrice e soccombente in appello ha allora intrapreso le vie del giudizio di legittimità, denunciando la violazione, da parte della sentenza di seconde cure, del principio di ultrattività delle funzioni giudiziarie, a mente del quale la sussistenza della potestas iudicandi in capo al magistrato decidente deve essere valutata al momento della deliberazione del provvedimento – data in cui, nella fattispecie concretamente esaminata, il magistrato risultava ancora in servizio – e non a quello della successiva pubblicazione.
SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte non ha ritenuto, nella circostanza, di dover mettere in discussione la vigenza, nel nostro ordinamento processuale, del principio, invocato dal ricorrente, di ultrattività delle funzioni giudiziarie, in proposito richiamandosi anzi, e in termini pienamente adesivi, al precedente costituito da Cass., 27 giugno 2006, n. 23191: dove apertis verbis si è detto che il momento da prendere in considerazione per stabilire se la sentenza sia stata pronunciata da un giudice regolarmente preposto all’ufficio, è quello della deliberazione, con la conseguenza che qualsiasi vicenda atta a recidere quel rapporto di preposizione (trasferimento, collocamento fuori ruolo o a riposo, ecc.) che dovesse sopravvenire nelle fasi successive dell’iter formativo del provvedimento – stesura della motivazione, sottoscrizione, pubblicazione – dovrebbe reputarsi irrilevante o, comunque, non in grado di incidere sulla validità ed efficacia della pronuncia emessa.
Nel caso concreto, però, il principio non è stato proficuamente mobilitato. Osserva, infatti, la Corte che, qualora la sentenza, in conformità al precetto dell’art. 132, 2° co., n. 5, riporti la data della deliberazione, è a quella data – e non a quella in cui il giudice abbia trattenuto la causa in decisione, cui sarebbe possibile fare riferimento solamente a fronte di sentenza che mancasse di quella indicazione – che occorre far capo per la verifica della potestas iudicandi del magistrato decidente. E poiché, nella specie, la sentenza – che la Corte ha potuto direttamente compulsare, attingendo al fascicolo dell’appellante, in quanto giudice del fatto allorché investita del sindacato di vizi di natura processuale – quella data la riportava, e riportava una data successiva al collocamento a riposo del magistrato, l’esito non ha potuto che essere quello del rigetto del ricorso e della piena conferma della radicale nullità della sentenza impugnata.
QUESTIONI
[1] La sentenza richiamata in epigrafe si regge sul triplice e ben scandito presupposto, saldamente acquisito in sede giurisprudenziale: a) che il regime, sintetizzabile nella formula della giuridica inesistenza della sentenza o della nullità idonea a sopravvivere al giudicato, fissato negli artt. 161, 2° co. e 354, 1° co., c.p.c. sia applicabile ben al di là della sola ipotesi, ivi formalmente considerata, del difetto di sottoscrizione della sentenza medesima (Cass., 28 dicembre 2009, n. 27428); b) che al novero delle pronunce qualificabili, secondo quanto testé appurato sub a), come giuridicamente inesistenti o affette da nullità idonea a sopravvivere al giudicato, appartengono anche, e in primo luogo, le sentenze rese a non iudice (Cass., 29 settembre 1999, n. 10784); c) che di sentenza resa a non iudice si debba parlare anche nei casi di partecipazione all’organo giudicante di soggetti appartenenti all’ordine giudiziario e, dunque, dotati della qualità di giudice ma, al momento della decisione, sprovvisti di potestà giurisdizionali o, comunque, non incardinati presso l’ufficio giudiziario adito (cfr., oltre alla sopra cit. Cass n. 23191/2006, Cass., 23 luglio 1969, n. 2783, in Foro it., 1969, I, 2413).
Se sul primo e sul secondo di tali enunciati si registra generale consenso anche in àmbito dottrinale (cfr., per ogni altro, C. Mandrioli – A. Carratta, Diritto processuale civile, 26a ed., Torino, 2017, 553 s.), non altrettanto è a dirsi per il terzo di essi. Al cui proposito si è fatto notare, da parte della dottrina che più diffusamente si è soffermata su queste tematiche, come la valutazione circa la sussistenza, in capo al giudice, della potestas iudicandi vada effettuata avendo riguardo all’ufficio e non alla persona fisica ad esso preposta. Con la necessaria implicazione che la sentenza possa considerarsi giuridicamente esistente per il solo fatto della sua formale imputabilità all’ufficio, in forza della sua regolare pubblicazione presso lo stesso; mentre la partecipazione alla sentenza di magistrati ivi non debitamente incardinati varrebbe a meramente determinarne la nullità, assoluta ma al contempo incapace di sopravvivere al giudicato, per vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c. (G. Balena, La rimessione della causa al primo giudice, Bari, 1984, spec. 277 ss.; C. Besso, La sentenza civile inesistente, Torino, 1996, 174 ss.).
[2] Si guardi alla carenza di potestas iudicandi in capo al magistrato persona fisica come a causa di giuridica inesistenza della sentenza o di mera nullità, è in ogni caso assodato anche in dottrina che essa non possa assumere rilievo alcuno ove le circostanze che ne siano all’origine siano sopravvenute alla deliberazione del provvedimento, ancorché in momento anteriore alla successiva pubblicazione: cfr. V. Colesanti, Sentenza inesistente…o inesistenza di logica interpretativa ?, in Riv. dir. proc., 1977, II, 301; G. Balena, op. cit., 280).
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