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Cass. Civ., sentenza del 14 giugno 2019, n. 15996.

Parole chiave: estinzione del giudizio – domanda di ammissione al passivo – effetto interruttivo – fallimento.

MASSIMA

“Il termine per la riassunzione del giudizio, interrotto per dichiarazione di fallimento, a carico della parte non colpita dall’evento interruttivo, la quale abbia preso parte al procedimento fallimentare presentando domanda di ammissione allo stato passivo, non decorre dalla legale conoscenza che tale parte abbia avuto della pendenza del procedimento concorsuale, ma dal momento in cui essa abbia avuto conoscenza effettiva del procedimento concorsuale, conoscenza che decorre, in assenza di ulteriori elementi, dal momento in cui sia stata depositata o inviata la domanda di ammissione allo stato passivo”.

Disposizioni applicate: art. 43 l. fall. – art. 305 c.p.c..

Non sempre la conoscenza legale dell’evento interruttivo “fallimento” costituisce presupposto necessario per la decorrenza dei termini previsti all’art. 305 c.p.c.. La sentenza in commento, infatti, ha riconosciuto che anche la conoscenza effettiva accertata in capo alla parte del giudizio diversa da quella fallita può comportare il decorso del termine per la riassunzione o la prosecuzione del giudizio.

Come è noto, la legge fallimentare prevede all’art. 43, 3° comma, che “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”. Detto effetto interruttivo, per orientamento ormai unanimemente condiviso, opera in automatico ed ipso iure in conseguenza dell’apertura del fallimento (sul punto, si rimanda alla sentenza della Cassazione Civile a Sezioni Unite, n. 7443, del 20 marzo 2008, che contiene un primo riconoscimento della natura automatica di tale effetto).

Si è però posto il problema di garantire alle parti del processo il diritto di difesa, messo a rischio in un contesto in cui l’operatività automatica dell’interruzione poteva comportare, a danno delle parti ignare dell’intervenuto fallimento, l’estinzione del giudizio.

La giurisprudenza ha quindi temperato la portata della previsione normativa di cui al comma 3° dell’art. 43 l. fall, imponendo un criterio selettivo del “momento” dal quale debbano decorrere i termini. È stato infatti stabilito che l’interruzione opera in automatico, ma solo “dal giorno in cui l’evento interruttivo sia venuto in forma legale a conoscenza della parte interessata alla riassunzione” (Così, Corte Cost. n. 17, del 21 gennaio 2010; nella giurisprudenza di legittimità, si rimanda a Cass. Civ. n. 24857 dell’8 ottobre 2008; n. 5348 dell’8 marzo 2007; n. 974 del 19 gennaio 2006), ossia, da quando l’evento fallimento sia stato comunicato non in via di mero fatto, bensì “a mezzo di dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell’evento medesimo, assistita da fede privilegiata” (ex multis, Cass. Civ. n. 27165 del 28 dicembre 2016; Cass. Civ. n. 3782 del 25 febbraio 2015; Cass. Civ. n. 5650 del 7 marzo 2013), a nulla rilevando la conoscenza altrimenti acquisita dalla parte.

La sentenza in commento mette in luce la ratio sottesa alla necessarietà della “conoscenza legale”, nel passaggio in cui afferma che “ai fini della decorrenza del termine per la riassunzione per la parte non colpita dall’evento interruttivo occorre, tuttavia, distinguere la parte che sia rimasta del tutto estranea rispetto al procedimento di liquidazione concorsuale apertosi, rispetto alla parte processuale che, invece, abbia successivamente preso parte (nelle more del giudizio ordinario) al medesimo procedimento concorsuale” per poi giungere ad affermare che solo rispetto alla prima dovrà operare pienamente il principio secondo cui la decorrenza ipso iure del termine interruttivo deve provenire da una fonte privilegiata.

I giudici, evidenziano che dalla parte che è rimasta del tutto estranea rispetto al procedimento di liquidazione concorsuale, dovrà distinguersi:

a) il creditore del fallito, che abbia ricevuto formale conoscenza della pendenza dell’apertura del procedimento concorsuale dalla comunicazione formale che il curatore del fallimento gli invia a termini della l. fall., art. 92 (sicuramente comunicazione proveniente da una fonte privilegiata quale il curatore del fallimento);

b) il creditore del fallito che, sebbene non abbia ricevuto comunicazione formale da parte del creditore ex 92 l. fall., abbia comunque preso parte al procedimento concorsuale formulando domanda di ammissione al passivo.

Rispetto all’ipotesi b), infatti, la formale comunicazione della sentenza dichiarativa di fallimento diviene irrilevante nel momento in cui il creditore, per quanto terzo rispetto al procedimento prefallimentare, prenda parte al procedimento con la domanda di ammissione allo stato passivo. A supporto di tale impostazione, la Corte richiama anche l’orientamento giurisprudenziale secondo cui sarebbe imputabile del ritardo il creditore che, sebbene non sia stato specificamente avvisato dal curatore ex art. 92 l. fall., abbia avuto notizia del fallimento aliunde ed indipendentemente dalla sua “legale conoscenza” (Cass. Civ., n. 16103, del 19 giugno 2018,; Cass. Civ., n. 23302, del 13 novembre 2015).

La sola parte che deve essere tutelata al fine della decorrenza del termine per la riassunzione dalla ricezione di una dichiarazione o comunicazione della dichiarazione di fallimento, fornita di fede privilegiata è, quindi, quella che nulla sappia della apertura della procedura di fallimento e che, pertanto, non abbia partecipato al procedimento concorsuale, non diversamente dalla parte che non abbia partecipato al precedente procedimento per la dichiarazione di fallimento.

Nel caso di specie, i Giudici confermano la sentenza con cui la corte d’appello aveva ricavato il giorno di inizio della decorrenza del termine interruttivo quanto meno dalla data di proposizione della domanda di ammissione al passivo avanzata dal creditore istante (4.12.2008). Ne è conseguita l’estinzione del processo, essendo la riassunzione avvenuta con “comparsa di riassunzione del giudizio” notificata in data 2 – 5.02.2010, e dunque successivamente alla scadenza del termine semestrale di cui all’art. 305 c.p.c., applicabile ratione temporis.

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