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Il presente lavoro – dedicato alla garanzia processuale e alla nota distinzione, interna al fenomeno, tra garanzia propria e garanzia impropria – intende verificare se e come il principio di diritto enunciato dalle Sez. Un. 24707/2015 (che ha attribuito a quel distinguo un valore meramente descrittivo) ha attecchito nella successiva giurisprudenza.

1.La garanzia è tradizionalmente definita come quel fenomeno in base al quale un soggetto (garantito) ha, per legge o per contratto, il diritto di riversare su un altro soggetto (garante) la perdita economica derivante dall’esistenza o dal soddisfacimento del diritto di un altro soggetto (Franchi, Della competenza per connessione, Com. UTET, I, 2, Torino 1973, 308; Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, Torino 2017, II, 79; Gambineri, Garanzia e processo, Milano 2002, I, 219).

Alla garanzia fa anzitutto riferimento l’art. 106 c.p.c., che prevede, quale sua modalità di attuazione, la chiamata in causa, con la quale il convenuto (garantito) propone nei confronti del (terzo) garante una domanda di condanna, condizionata alla sua soccombenza in giudizio (Attardi, Diritto processuale civile, Padova 1999, I, 383; Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli 2014, 352). Alla garanzia nel processo, il legislatore dedica poi l’art. 32 c.p.c. che, in deroga ai criteri di competenza per territorio, ammette l’attrazione al foro competente a conoscere della domanda principale, anche della domanda di garanzia, proposta in via di chiamata. Al fenomeno si riferisce, inoltre, l’art. 108 c.p.c. che legittima l’estromissione del garantito, qualora il garante accetti di assumere la lite al suo posto. Infine, trova applicazione in caso di garanzia il regime dettato dall’art. 331 c.p.c., per l’impugnazione delle cause inscindibili, sì che il garante sarà parte necessaria delle fasi di gravame e sarà legittimato ad impugnare la sentenza in via incidentale tardiva, secondo quanto prevede l’art. 334 c.p.c.

2.A fronte di uno statuto processuale piuttosto lineare, la chiamata in garanzia ha da sempre costituito oggetto di discussione tra gli interpreti, in ragione della distinzione, di cui invero non v’è traccia nelle norme, tra ipotesi di vera e propria garanzia e casi di garanzia definita tale solo impropriamente. Il distinguo tra le due figure è accolto anche dalla giurisprudenza che, con massima ricorrente, ritiene sussistere una garanzia propria allorquando la domanda principale e quella proposta dal garantito-chiamante nei confronti del terzo-garantito si fondino sullo stesso titolo, o su titoli tra loro connessi per pregiudizialità-dipendenza (da ultimo, Cass. 16 aprile 2014, n. 8898).

Tali sono i casi di chiamata per evizione ex artt. 1485-797-1533 c.c.; quella spiegata, ai fini di esercitare in via anticipata il diritto di regresso, dal fideiussore nei confronti dell’obbligato principale (Consolo, Spiegazioni, cit., 81); da un coobbligato solidale paritario verso un altro condebitore (Baccaglini, Il processo sulle obbligazioni solidali “paritarie” e l’azione di regresso, Milano 2015, 170 nt. 37), o dalla struttura sanitaria nei confronti dell’esercente la professione medica, quando la prima sia convenuta in giudizio dal paziente, che abbia agito ex art. 9 della legge 8 marzo 2017, n. 24 (Bertolini, in Consolo, Il contenzioso sulla nuova responsabilità sanitaria (prima e durante il processo), Torino, 2018, 100). In tutte le ipotesi, è evidente che il diritto dedotto contro il terzo chiamato (quello che trova titolo nella garanzia per evizione e quello di regresso esercitato in via anticipata) esistono solo se si accerti che sussista il diritto fatto valere con la domanda principale.

Diversamente, la garanzia impropria sarebbe ravvisabile quando tra i titoli delle due domande ricorrerebbe una connessione fondata sulla comunanza di mere questioni di fatto (Cass. 16 aprile 2014, n. 8898, cit.).

È tradizionalmente ricondotto a questa species il caso – relativo alle cd. vendite a catena di un bene difettoso – in cui, proposta dall’acquirente contro il dettagliante un’azione di riduzione del prezzo per vizi del bene venduto, il convenuto, ritenendosi titolare di analogo diritto nei confronti del grossista, lo chiami in causa proponendo nei suoi confronti un’azione dal petitum analogo. In questi casi, è evidente che titolo sia connesso a quello della domanda principale solo per ragioni di mero fatto, giacché il diritto esercitato contro il chiamato non nasce certo dalla soccombenza del convenuto rispetto alla domanda attorea: il venditore, infatti, se avesse scoperto l’esistenza dei vizi, prima di vendere il bene al consumatore, avrebbe potuto proporre azione estimatoria contro il proprio dante causa (Consolo, Spiegazioni, cit., 79). Analogo discorso può formularsi rispetto alla chiamata dell’impresa edile, da parte del Comune, che sia stato convenuto ex art. 2043 c.c. da un privato, per danni subiti a causa di una caduta sulla strada, manutenuta da quella impresa (Cass. 10.08.2012, n. 14731). Per le stesse ragioni, sono state ricondotte alla garanzia impropria la chiamata del subvettore da parte del vettore, convenuto in giudizio per il risarcimento dei danni provocati dalla perdita ed avaria delle cose trasportate (Cass. 12.12.2003, n. 19050) e la chiamata in garanzia della impresa costruttrice, proposta dal venditore del bene, convenuto in giudizio dall’acquirente per la condanna al risarcimento dei danni derivanti dai vizi del veicolo venduto (C 14.1.2004, n. 429).

3.Il distinguo tra garanzia propria e impropria non è privo di rilievo pratico, posto che solo la proposizione di una chiamata in garanzia propria legittima(va) l’applicazione dei sopra richiamati artt. 32-108-331 c.p.c.; al contrario, la ricorrenza di una fattispecie di garanzia impropriamente detta, ammette(va) soltanto la chiamata in giudizio del garante, ex art. 106 c.p.c., senza peraltro consentire alcuna deroga di competenza ex art. 32 c.p.c. (Cass. 24.01.2007, n. 1515, Cass. 14.01.2004, n. 429, Trib. Padova, 4.5.2012, Leggi d’Italia). Soprattutto, proprio perché l’obbligo del chiamato in garanzia impropria si risolve(va) in una pretesa risarcitoria del chiamante, solo fattualmente connessa a (e perciò non condizionata all’esistenza di) quella esercitata dall’attore, la disciplina della impugnazione della sentenza era identificata con quella delle cause scindibili, ex art. 332 c.p.c., quale che fosse il capo della sentenza impugnata (Cass. 16.05.2013, n. 11968; Cass. 4.02.2010, n. 2557; Cass. 22.01.2010, n. 1197).

Eppure, questo duplice regime previsto per le due figure di garanzia propria e impropria si è scontrato, all’atto pratico, con una tangibile difficoltà applicativa, specie quando si trattava di ricondurre le singole fattispecie che si prospettavano in giudizio all’una o all’altra species; le maggiori difficoltà di inquadramento si sono registrate soprattutto con riguardo alla chiamata in garanzia dell’assicuratore ex art. 1917 c.c.: v’è stato chi l’ha qualificata come garanzia impropria (Cass. 22.04.2013, 9686; Cass. 18.11.2011, n. 10919); chi, pur riconducendola a quella species, l’ha assoggettata al regime della garanzia propria (Cass. 4.05.2004, n. 8458; Cass. 17.04.1990, n. 3182); chi invece l’ha considerata un esempio di vera e propria garanzia (Sez. Un. 26.07.2004, n. 13968, in Foro it., 2005, I, 2385, nt. Gambineri, Cass. 12.12.2005, n. 27326; Cass. 30.11.2011, n. 25581).

A questa incertezza interpretativa ha certamente contribuito anche l’esistenza di un’autorevole corrente di pensiero che contestava in radice la valenza di quel distinguo perché riteneva che, anche nelle ipotesi tradizionalmente ricondotte alla garanzia impropria, fosse individuabile la sussistenza di un nesso di pregiudizialità-dipendenza tra rapporti dedotti in lite, tale da condizionare il diritto del garantito all’esistenza e all’ammontare del diritto del garante (Proto Pisani, Note in tema di limiti soggettivi della sentenza civile, in Foro it., 1985, 2398; Gambineri, Garanzia, cit., I, 178).

4.È a questa idea che hanno aderito le Sez. Un. 4.12.2015, n. 24707, chiamate a stabilire se la chiamata in garanzia dell’assicuratore ex art. 1917 c.c. fosse riconducibile allo schema della garanzia propria ovvero impropria (onde qualificare i poteri del chiamato in sede di impugnazione). La Cassazione, verosimilmente influenzata anche dalla normativa europea che ignora la figura della garanzia impropria (art. 6, n. 2 Reg. UE 1215/12 (D’Alessandro, La connessione tra controversie transnazionali. Profili sistematici, Torino, 2009, 84) ha attribuito alla distinzione una valenza meramente descrittiva e ha considerato sufficiente, per discorrere di garanzia, la sussistenza di una connessione meramente fattuale tra domande (contra, Consolo-Baccaglini-Godio, Giur. it, 2016, 598; Carratta, ivi, 592; adesive rispetto alla pronuncia, Tiscini, Riv. dir. proc., 2016, 79; Gambineri, F. it., 2016, 2195).

Di qui, l’estensione anche ai casi di garanzia impropria del medesimo regime processuale tradizionalmente pensato per la sola garanzia propria: precisamente, la deroga di competenza stabilita dall’art. 32 c.p.c.; la possibilità anche per il garantito improprio di essere estromesso; infine, il regime stabilito per l’impugnazione delle cause inscindibili o tra loro dipendenti, ex art. 331 c.p.c. (che più rileva all’atto pratico): si è riconosciuto al garante improprio il ruolo di parte necessaria in sede di impugnazione della sentenza, conferendogli altresì il potere di impugnare anche ai sensi dell’art. 334 c.p.c il capo che lo vede soccombente, e di impugnare in proprio quello principale di condanna reso nei confronti del garantito.

Il principio di diritto pronunciato dalle Sez. Un. 27404/2015 ha conosciuto tendenziali conferme nella giurisprudenza successiva: la categoria della garanzia impropria è tutt’ora adoperata dalla giurisprudenza, ma senza che questo comporti l’applicazione di un diverso regime processuale (così, da ultimo, Cass. 27.11.2018 n. 30601; Cass. 13.11.2018, n. 29038); meritano poi segnalazione: Cass. 20.06.2017, n. 25822, che ha confermato il regime dell’inscindibilità della causa in sede di gravame, anche quando in primo grado sia stata proposta una chiamata in garanzia impropria; Cass. Sez. Un. 14.03.2016, n. 4909 (seguita da Cass. 22.08.2018 n. 20898) secondo cui la procura alle liti, conferita in termini ampi e omnicomprensivi al difensore, sarebbe idonea ad attribuirgli anche il potere di chiamata in garanzia impropria. In linea con le Sez. Un. 24707/2015, si pongono anche le Sez. Un. 19 aprile 2016, n. 7770 che hanno escluso la necessità dell’appello incidentale – e ritenuto sufficiente la mera riproposizione ex art. 346 c.p.c. – della domanda di garanzia (anche impropria), rimasta assorbita in primo grado per effetto del rigetto della domanda dell’attore. Si segnala, peraltro, in senso contrario, Cass. 3.05.2018, n. 24574, che riconduce al regime della scindibilità delle cause l’impugnazione di una sentenza che abbia deciso di una chiamata in garanzia impropria.

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