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Pur avendo studiato come molti latino a scuola, devo confessare che non ho grandi “reminiscenze”, se non alcune frasi che sono misteriosamente rimaste impresse nella mia memoria.

Una è quella celeberrima di Orazio – “Carpe diem quam minimum credula postero” di cui spesso abusiamo, ma che credo si attagli benissimo al tema della pianificazione del passaggio generazionale: anche in questo campo, infatti, non vi è certezza su quella che sarà la situazione futura (e quindi … meglio cogliere il presente).

Se, in linea generale, è opportuno che chiunque disponga di un patrimonio si ponga il problema di come trasferirlo nel modo più conveniente e funzionale alle generazioni future, non può non essere considerato anche la circostanza che oggi vi è un motivo in più di seria riflessione: il fatto che la pianificazione del passaggio generazionale può essere vantaggiosa dal punto di vista del carico tributario che l’accompagna, e che, sicuramente, questa situazione di favore non è destinata a rimanere tale per sempre.

L’imposta che entra in gioco, nel caso di specie, è quella sulle successioni e donazioni e due in particolare sono le variabili che debbono essere prese in considerazione.

La prima è quella relativa alle franchigie e alle aliquote applicabili, che come sappiamo dipendono dal rapporto di coniugio o parentela fra dante e avente causa.

L’attuale normativa è, evidentemente, di assoluto favore, tant’è che la disciplina che si rende applicabile porta l’Italia ad essere considerata, da questo punto di vista, alla stregua di un “paradiso fiscale” (aspetto quanto mai paradossale se ragioniamo sulla percezione del livello della pressione fiscale che abbiamo nel nostro Paese).

Non solo l’aliquota del 4% che si applica a coniugi e a parenti in linea retta (al di sopra della franchigia di 1 milione di euro per ciascun soggetto), ma la stessa aliquota “massima” dell’8%, che si applica in via residuale quando non vi è un rapporto di parentela, rappresentano un prelievo che è una frazione di quello mediamente applicato negli altri paesi europei (dove si arriva, in determinati casi, ad una tassazione che può raggiungere il 50% della ricchezza trasmessa).

Come sappiamo, nel 2015 vi era stata una proposta di legge che interveniva con un significativo inasprimento della disciplina, con la riduzione delle franchigie e l’aumento delle aliquote: all’epoca non se ne fece nulla, ma è chiaro che prima o poi un intervento vi sarà, da un lato perché sollecitato dalla Commissione Europea (e raccomandato dal Fondo Monetario Internazionale), dall’altro, soprattutto, perché garantirebbe un extra gettito in relazione ad un’imposta che da questo punto di vista dà attualmente poche soddisfazioni all’erario (l’introito annuo complessivo non arriva infatti a 500 milioni di euro).

Ma l’altra variabile da prendere in considerazione è quella relativa alla determinazione della base imponibile.

Se, in linea generale, i beni devono essere considerati in base al loro valore venale, per partecipazioni e immobili valgono delle regole “speciali”.

Per le prime, infatti, deve essere preso in considerazione il valore del patrimonio netto contabile delle società (che generalmente sarà di molto inferiore rispetto al valore effettivo) e poi vi è la possibilità, laddove ricorrano le condizioni previste dalla norma, di beneficiare del regime di esenzione dettato dall’articolo 3 comma 4-ter del TUS (che può consentire di trasferire patrimoni “immensi” senza alcuna tassazione).

Per quanto riguarda invece gli immobili, il valore di riferimento è, di fatto, quello catastale: anche da questo punto di vista “va colto l’attimo”.

Come ben sappiamo, c’è, infatti, il rischio concreto dell’incremento delle rendite con la riforma del catasto, peraltro anch’esso richiesto dall’Unione Europea.

Una previsione in tal senso era inserita nella nota di aggiornamento al Def, ma poi il governo l’ha esclusa dalla manovra: il vice ministro dell’Economia Antonio Misiani ha però affermato che “una riforma seria dei valori catastali deve essere fatta”. Quindi è solo questione di tempo.

In considerazione del fatto che si sono ipotizzati incrementi fino a 10 volte i valori attuali, è evidente che uno scenario di questo tipo cambierebbe radicalmente ogni prospettiva (anche a parità di aliquote e franchigie).

Appare quindi opportuno valutare la posizione dei clienti (e, perché no, anche quella nostra personale), per pianificare, oggi, il passaggio generazionale: uno di questi interventi (o, ancor peggio, la loro combinazione) potrebbe rendere, infatti, qualsiasi pianificazione successoria difficilmente attuabile o, quanto meno, decisamente meno conveniente.

L'articolo La pianificazione del passaggio generazionale … carpe diem! sembra essere il primo su Euroconference News.

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