Non operatività della rimessione in termini allorquando la parte non provi il legittimo impedimento e non adempia all’obbligo di attivarsi con immediatezza
Cass. Sez. Un., 18 dicembre 2018, n. 32725, Relatore Cons. Rubino Lina
[1] Istanza di rimessione in termini – Mancanza di prova del legittimo impedimento – Obbligo di attivarsi senza indugio – Ammissibilità della istanza di rimessione in termini in riferimento alla decadenza dalla facoltà di proporre impugnazione – Infondatezza – Rigetto istanza ed inammissibilità del Ricorso per Cassazione per tardività (Cod. proc. civ. art. 153).
È ammissibile l’istanza di rimessione in termini in riferimento alla decadenza dalla facoltà di proporre impugnazione per incolpevole decorso del termine per impugnare, va però aggiunto che la rimessione in termini richiede, da una parte, la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà non potendosi considerare come tale la malattia del procuratore della parte e, dall’altra, la tempestività dell’iniziativa della parte, da intendere come immediatezza della reazione al palesarsi della necessità di svolgere un’attività processuale ormai preclusa.
CASO
[1] La ricorrente lamenta che la decisione disciplinare del CNF del 06.11.2017 che la riguardava, le veniva notificata in data 30.11.2017 presso il solo procuratore domiciliatario, il quale tuttavia, a cagione dello stato di salute non ottimale, unito ad astenia comunicava solo in data 29.12.2017, ovvero il giorno prima della scadenza del termine di 30 giorni dalla notificazione per proporre ricorso per Cassazione, il provvedimento disciplinare de quo.
La ricorrente inoltre deduce di essere venuta materialmente in possesso, solo a termine scaduto, della decisione del CNF in data 12.01.2018, cosicché, dopo avere presentato istanza di rimessione in termini rispetto alla quale il Primo Presidente, dichiarava il non luogo a provvedere in forza della competenza del Collegio investito dell’esame del ricorso, proponeva effettivamente il ricorso allegando la ricorrenza delle sopra individuate cause di non imputabilità atte a giustificare, ex art. 153 c.p.c. la proposizione tardiva della impugnazione.
SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte, da una parte, ritiene ammissibile l’istanza di rimessione in termini nell’ipotesi di incolpevole decorso del termine per impugnare, tuttavia, dall’altra, giudica la stessa infondata del merito per due ordini di motivi. Il primo secondo cui il legittimo impedimento, consistente in una causa non imputabile alla parte, non ricorrerebbe nel caso di specie id est malattia del procuratore. Il secondo per cui, in ogni caso, la ricorrente non si sarebbe attivata con la indispensabile immediatezza, una volta venuta a conoscenza dell’atto non andato a buon fine.
QUESTIONI
[1] La Suprema Corte, nella sentenza in commento, si occupa nell’incipit dell’ammissibilità, in astratto ed in generale, dell’istanza di rimessione in termini in relazione alla facoltà di proporre impugnazioni. Una volta risolta positivamente la prima questione, analizza in concreto il ricorrere o meno, nel caso di specie, di una causa non imputabile alla parte che giustifichi il rimedio richiesto. In questo caso, tuttavia, il giudizio delle Sezioni Unite è negativo e non viene ravvisato alcun legittimo impedimento che possa fondare l’istanza di rimessione in termini richiesta.
Approfondendo le due tematiche e partendo dalla prima, ovvero quella relativa all’ammissibilità dell’istanza di rimessione in termini in riferimento alla decadenza dalla facoltà di proporre impugnazione per incolpevole decorso del termine per impugnare, la Suprema Corte offre una ricostruzione storica dell’istituto per poi concludere circa l’ammissibilità di siffatta istanza.
Tradizionalmente, infatti, l’art. 184 bis c.p.c. non era considerato invocabile per situazioni esterne allo svolgimento del giudizio ivi incluse le impugnazioni e comunque più in generale per le decadenze relative al compimento del termine perentorio per instaurare il giudizio, per le quali vigeva la regola della improrogabilità. A seguito della “trasmigrazione” dell’art. 184 bis c.p.c. nel libro primo e di una lettura costituzionalmente orientata delle norma, in maggior misura sensibile al rispetto del principio del contraddittorio, del giusto processo e dell’effettività del diritto di difesa, si era, in seguito, pervenuti a superare l’orientamento restrittivo per ammettere il ricorso all’istituto delle rimessione anche a situazioni esterne, quali, la decadenza dal potere di impugnare.
Tale rinnovata impostazione secondo cui l’istituto della rimessione in termini, già previsto dall’abrogato art. 184 bis c.p.c., oggi sostituito dalla generale previsione di cui all’art. 153 c.p.c. troverebbe applicazione con riguardo alla decadenza dai poteri processuali esterni al giudizio, è stata, a più riprese, sostenuta dalla Suprema Corte è può dirsi ormai consolidata (vedi Cassazione civile sez. trib., 08 marzo 2017, n.5946 in Giustizia Civile Massimario 2017; Cassazione civile sez. trib., 02 marzo 2012, n. 3277 in Foro it. 2013, 4, I , 1312). Ciò a patto, ovviamente, che la parte dimostri di essere incorsa nella decadenza per causa ad essa non imputabile [vedi Giorgetti, in Saletti, Sassani (a cura di), Commentario alla riforma del codice di procedura civile (L. 18.6.2009, n. 69), Torino, 2009, 88].
La Suprema Corte volge poi lo sguardo e procede alla verifica delle condizioni, in concreto, per l’applicabilità della rimessione in termini. Il presupposto di base perché si possa invocare la rimessione in termini è costituito dalla causa non imputabile. Tale concetto deve all’evidenza presentare il carattere dell’assolutezza, non ammettendosi invece una impossibilità relativa.
Cosicché la Corte esclude che, nel caso di specie, ricorra quel legittimo impedimento dalla portata eccezionale che consenta di invocare l’applicazione del rimedio di cui si tratta potendosi annoverare la malattia del procuratore tra i casi di inapplicabilità (vedi Cassazione civile sez. trib., 17 febbraio 2017, n.4242 in Giustizia Civile Massimario 2017; Cassazione civile sez. trib., 17 giugno 2015, n.12544 in Giustizia Civile Massimario 2015 che ha escluso che la malattia ed il successivo decesso del difensore, incaricato della riassunzione del giudizio seppur dieci mesi prima della scadenza del relativo termine, potessero rilevare quale causa di non imputabilità; Cassazione civile sez. III, 12 luglio 2005, n.14586 in Giust. civ. Mass. 2005, 7/8).
L’orientamento della Suprema Corte è invero alquanto rigoroso ed ad avviso dello scrivente dovrebbe essere attenuato secondo criteri di maggior equità allorquando la malattia sia effettivamente tale da costituire un insuperabile impedimento. Si tratterebbe, in altre parole, di un indagine da svolgere caso per caso così d’ammettere la ricorrenza di una causa non imputabile solo nell’ipotesi obiettivamente più gravi.
A ben vedere, però la sentenza della Suprema Corte, nell’affermare che, nel caso di specie, non sarebbe stato allegato nemmeno una malattia improvvisa e totalizzante, ma un semplice stato di salute non ottimale unito ad astenia, lascia spazio per argomentare che, viceversa, ove si fosse trattato di un malessere repentino ed invalidante in maniera assoluta, allora, avrebbe potuto ravvisarsi un legittimo impedimento.
Un’impostazione meno restrittiva, del resto, avrebbe l’indubbio pregio di limitare la responsabilità del procuratore che, in caso contrario, sarebbe quasi sempre passibile di conseguenze dannose potendosi invocare, in ipotesi di mancato riconoscimento del rimedio della rimessione in termini, il risarcimento dei danni per responsabilità professionale.
Del resto, a conforto di quanto prospettato, si segnala che la dottrina ha ritenuto che possa rappresentare un legittimo impedimento un improvviso viaggio all’estero, ovvero anche delle crisi organizzative non evitabili con la ordinaria diligenza (vedi Consolo, La legge di riforma 18 giugno 2009, n. 69: altri profili significativi a prima lettura, in Corriere Giuridico, 2009, 877, spec. 879).
Ma l’istanza di rimessione in termini che ci occupa è infondata anche per un altro motivo. La ricorrente non si è infatti attivata con la richiesta immediatezza in quanto, una volta venuta a conoscenza del provvedimento, avrebbe dovuto correre ai ripari senza alcun indugio e ciò sulla scorta di un principio consolidato secondo cui se la notificazione di un atto da effettuarsi entro un termine perentorio non va a buon fine per circostanze non imputabili al richiedente questi ha l’onere di riprendere il procedimento notificatorio entro un termine ragionevolmente contenuto e con pronta sollecitudine (vedi Cassazione civile , sez. VI , 09 agosto 2018 , n. 20700 in Giustizia Civile Massimario 2018; ; Cassazione civile sez. lav., 27 giugno 2018, n.16943 in Giustizia Civile Massimario 2018; Cassazione civile sez. II, 11 giugno 2018, n.15056 in Giustizia Civile Massimario 2018; Cassazione civile sez. VI, 31 luglio 2017, n.19059 Giustizia Civile Massimario 2017; Cassazione civile sez. un., 15 luglio 2016, n.14594 in Diritto & Giustizia 2016, 18 luglio; in dottrina, vedi Valerio, Notifica con esito negativo: per conservarne gli effetti è necessario procedere con immediatezza in Diritto & Giustizia, fasc.33, 2016, pag. 14; Summa, Per “salvare” il termine di una notifica non andata a buon fine il notificante deve essere diligente e tempestivo, in Diritto & Giustizia, fasc.192, 2017, pag. 10).
In conclusione, un mero stato di spossatezza e debolezza fisica non possono certo assurgere a caso fortuito o di forza maggiore, cioè a dire quelle ipotesi estreme in cui una eventuale decadenza in cui si è incorsi non sarebbe imputabile e quindi risulterebbe applicabile la norma generale sulla rimessione in termini. La Suprema Corte, benché nel caso di specie censuri le doglianze specifiche della ricorrente, lascia tuttavia ed in ogni caso la porta aperta alla rimessione in termini in presenza di situazioni del tutto eccezionali od eventi impeditivi repentini ed assoluti che colpiscano la parte o il suo procuratore in giudizio.
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