Risoluzione per inadempimento: la Cassazione torna a pronunciarsi sul concetto di “interesse”
Cass. civ., sez. III, Ord., 20 febbraio 2018, n. 4022 – Pres. Travaglino – Rel. Rossetti.
[1] [2] Contratto – Risoluzione – Interesse di parte – Inadempimento – Risoluzione per inadempimento – Contratto a prestazioni corrispettive
(Cod. civ., artt. 1453, 1455; C.p.c. artt. 117 e 185)
[1] “L'”interesse” cui, ai sensi dell’art. 1455 c.c., va comparata l’importanza dell’inadempimento ai fini della pronuncia costitutiva di risoluzione del contratto, è rappresentato dall’interesse che la parte inadempiente aveva o avrebbe potuto avere alla regolare esecuzione del contratto, e non dalla convenienza, per essa, della domanda di risoluzione rispetto a quella di condanna all’adempimento”.
CASO
[1] Gli attori stipulano un contratto di transazione con i convenuti per porre fine a liti tra loro pendenti aventi ad oggetto rapporti di vicinato e questioni di proprietà fondiaria.
A seguito di inadempimento, gli attori chiesero al giudice di prime cure una pronuncia costitutiva che tenesse luogo del consenso dei convenuti all’adempimento degli obblighi assunti con la suddetta transazione rimasti poi inadempiuti. Anche i convenuti, nel costituirsi in giudizio, chiesero, oltre al rigetto della domanda formulata nei loro confronti, anche la risoluzione del contratto di transazione per inadempimento da parte degli attori.
Il Tribunale adito rigettò entrambe le domande condannando gli attori al risarcimento del danno. La sentenza venne successivamente confermata dalla Corte territoriale la quale, nel rigettare l’appello, ha ritenuto che il giudice di primo grado avesse saggiamente considerato che i pur gravi inadempimenti dei convenuti non dovevano comportare la risoluzione del negoziato proprio in relazione all’interesse che gli attori continuavano comunque ad avere rispetto alle altrui prestazioni.
SOLUZIONE
[1] Ricorrono per Cassazione i convenuti che, con unico motivo, lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n.3, la violazione degli artt. 1453 e 1455 c.c.
Sostengono, in particolare, che la Corte d’appello, dopo avere accertato l’esistenza d’un inadempimento del contratto di transazione e dopo avere ritenuto che tale inadempimento fosse grave, definitivo, contrario a buona fede e rilevante, ha rigettato la domanda di risoluzione del contratto sul presupposto che pronunciare la risoluzione avrebbe vanificato gli sforzi fino a quel momento compiuti dalle parti per cercare di comporre le loro annose liti.
Osservano, in contrario, i ricorrenti che per pronunciare la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1453 c.c., il giudice non deve accertare altro che l’esistenza dell’inadempimento, la
sua gravità e la sua incidenza sugli interessi della controparte. Sicchè, essendo stati accertati questi tre elementi, la domanda di risoluzione si sarebbe dovuta accogliere, senza indagare se essa convenisse o meno al richiedente.
La Corte nel ritenere il motivo fondato ha cassato con rinvio la sentenza impugnata pronunciando il principio di diritto su riportato.
QUESTIONI
[1] La pronuncia in commento merita attenzione per la compiuta analisi che la Cassazione compie sul concetto di interesse della controparte rilevante ai fini dell’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento.
Come noto ai fini dell’accoglimento di una domanda di risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1453 c.c., il giudice deve accertare rispettivamente se esista il contratto, se esista l’inadempimento e se l’inadempimento sia “grave avuto riguardo all’interesse della controparte” ex art. 1455 c.c.
La definizione del concetto di interesse di cui all’art. 1455 c.c., tuttavia, da sempre divide dottrina e giurisprudenza.
Alcuni autori, infatti, sviliscono tale concetto ritenendo che l’interesse costituisca un mero criterio di valutazione della gravità dell’inadempimento.
Altri autori (L. BERTINO, La proporzionalità dei rimedi contro l’inadempimento del contratto, in Contratto e impr., 2013, 536, nota 38) e parte minoritaria della giurisprudenza (Cass. 28 ottobre 2011, n. 22521) ritengono, invece, che l’interesse di cui all’art. 1455 c.c. vada inteso in senso oggettivo, quale sinonimo di rilevanza dell’inadempimento per qualunque persona di normale avvedutezza. Secondo questo orientamento la non scarsa importanza dell’inadempimento, intesa in senso oggettivo, deve ritenersi implicita ove l’inadempimento stesso si sia verificato con riguardo alle obbligazioni primarie ed essenziali del contratto, ovvero quando, dal complesso della motivazione, emerga che il giudice lo abbia considerato tale da incidere in modo rilevante sull’equilibrio negoziale.
Altri autori (C.M. BIANCA, Diritto civile, V, Milano, 2011, 269; M.G. CUBEDDU, L’importanza dell’inadempimento, Torino, 1995, 89; P. GALLO, Trattato del contratto, Torino, 2010, III, 2113; L. NANNI, La risoluzione del contratto per inadempimento, in AA.VV., Trattato della responsabilità contrattuale diretto da G. VISINTINI, Padova, 2009, I, 452 e L. SITZIA, Importanza dell’inadempimento, voce del Digesto civ., aggiornamento, X, Torino, 2016, 307) e la parte più cospicua della giurisprudenza (Cass. 27 novembre 2015, n. 24206, Cass. 16 giugno 2015, n. 12417; Cass. 22 ottobre 2014, n. 22346; Cass. 28 giugno 2010, n. 15363, Cass. 1° luglio 2005, n. 14034; Cass. 7 febbraio 2001, n. 1773; Cass. 28 marzo 1997, n. 2799; Cass. 29 settembre 1994, n. 7937) danno, invece, al concetto di interesse una lettura soggettiva sostenendo che questo coincida con la volontà della parte non inadempiente e che, di conseguenza, sussista interesse in tutti i casi in cui possa ritenersi che quest’ultima non avrebbe stipulato qualora avesse avuto contezza dell’inadempimento.
In alcune pronunce, ascrivibili a questo orientamento maggioritario, si puntualizza, poi, che il principio secondo cui il contratto non può essere risolto se l’inadempimento ha scarsa importanza, in relazione all’interesse dell’altra parte, necessita di essere adeguato anche a un criterio di proporzione fondato sulla buona fede contrattuale (Cass. 28 giugno 2010, n. 15363)
Nel cercare di dirimere i vari contrasti dottrinari la Suprema Corte ha affermato, ormai da tempo (a partire da Cass., 28 giugno 1986 n. 4311) che l’interesse di cui all’art. 1455 c.c., non si identifica con l’interesse alla risoluzione ma consiste nell’interesse all’adempimento. Infatti, posto che l’art. 1455 c.c., parla genericamente di interesse della parte non inadempiente, la lettera della norma potrebbe essere interpretata in due sensi alternativi: quale interesse alla risoluzione del contratto oppure quale interesse alla esecuzione del contratto.
La prima interpretazione, tuttavia, renderebbe la norma superflua, infatti, se si intendesse l’art. 1455 c.c., nel senso che l’inadempimento rilevante ai fini della risoluzione è quello di non scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse della controparte, si finirebbe per rendere l’art. 1455 c.c., un ovvio paralogismo: e cioè che ha diritto a chiedere la risoluzione la parte che ha interesse alla risoluzione.
E, dal momento che quando una norma consente più letture alternative va preferita quella in grado di conferire al testo della legge un senso piuttosto che quella in base alla quale la norma non avrebbe senso alcuno, allora l’interesse richiesto dall’art. 1455 c.c. non può che consistere nell’interesse della parte non inadempiente alla prestazione rimasta ineseguita.
L’interesse, infatti, deve presumersi (con una presunzione semplice ex art. 2727 c.c.) leso tutte le volte che l’inadempimento sia stato di rilevante entità ovvero abbia riguardato obbligazioni principali e non secondarie (come afferma anche Cass. 14 giugno 2001, n. 8063).
Secondo la Cassazione, quindi, la Corte d’appello, nel caso in commento, ritenne correttamente grave l’inadempimento degli odierni controricorrenti ma sostenne che dichiarare risolto il contratto di transazione avrebbe annullato gli sforzi compiuti dalle parti ed i risultati raggiunti per comporre la lite. Così giudicando, tuttavia, la Corte d’appello ha effettivamente violato l’art. 1455 c.c.
Da un lato, infatti, rilevata la gravità dell’inadempimento, avrebbe dovuto accogliere la domanda di risoluzione poiché un inadempimento grave fa presumere leso l’interesse della controparte salvo che la parte inadempiente fornisca la prova del contrario.
Dall’altro, poi, la Corte territoriale ha scambiato l’interesse alla prestazione rimasta ineseguita, l’unico che deve essere valutato ai fini dell’art. 1455 c.c., con l’interesse alla risoluzione, ovvero con la convenienza della domanda di risoluzione rispetto a quella di adempimento (scelta, tra l’altro, riservata alla valutazione della parte, e sulla quale il giudice non può intervenire).
Inoltre, come sostiene la Suprema Corte, se la Corte d’appello avesse avuto intenzione di non mandare sprecati i tentativi di composizione bonaria della lite, tale intento si sarebbe dovuto attuare attraverso l’unico strumento che l’ordinamento processuale le metteva a disposizione a tal fine: convocando le parti e tentando di conciliarle, ai sensi del combinato disposto degli artt. 117 e 185 c.p.c., e non certo imponendo alle parti di restare vincolate ad un contratto cui non avevano più interesse.
Pertanto la Cassazione, nel riesaminare il gravame e sulla scorta delle considerazioni sostanziali e processuali messi in evidenza, ha cassato la sentenza con rinvio imponendo al giudice di secondo grado di attenersi, nel rivalutare la domanda, al principio di diritto enunciato in epigrafe.
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