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Tribunale di Catania, Sez. III civ., Sentenza del 31 gennaio 2019 n. 454 Giudice Onorario dott. Antonino A.M. Milazzo

Art. 1138 c.c. – L. n. 220 del 2012

Il regolamento di condominio predisposto dall’originario unico proprietario dell’intero edificio, ove accettato dagli iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, assume carattere convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti non solo con riferimento alle clausole che disciplinano l’uso o il godimento dei servizi delle parti comuni, ma anche con riferimento a quelle che restringono i poteri e le facoltà dei singoli condomini sulle loro proprietà esclusive.[1]

  • Il regolamento di condominio

Il  regolamento condominiale è “ il complesso delle norme alle quali tutti i condomini devono attenersi  nell’uso delle cose comuni,  quelle circa la ripartizione dei servizi  e delle spese comuni, secondo i diritti di ciascuno risultanti dagli atti di acquisto, dalle convenzioni  e dalle norme contenute nella legge”. I regolamenti possono essere obbligatori (se il numero dei condomini è superiore a dieci), facoltativi (se il numero dei condomini è pari o inferiore a dieci), sostanzialmente dottrina e giurisprudenza individuano due tipologie: contrattuale ed assembleare, con la differenza che il primo è predisposto dal costruttore ed ha origine “esterna”, il secondo deve essere approvato con la maggioranza ex art. 1136, 2.co c.c., sia in prima che seconda convocazione a maggioranza degli intervenuti e almeno metà del valore dell’edificio.

Sovente la dottrina rileva come l’articolo 1138 c.c. si occupi unicamente del regolamento di natura interna ossia quello assembleare, prevedendone l’obbligatorietà in caso  il numero dei condomini sia superiore a dieci e la facoltatività nelle alte ipotesi, nonché la libertà di ciascun condomino di prendere l’iniziativa per la sua formazione  o revisione dell’esistente e per la necessaria  successiva approvazione dell’assemblea, con le maggioranze di cui al  3^ comma.

Il che significa che se l’assemblea non forma il regolamento di condominio – nei casi, in cui esso sia obbligatorio – deve escludersi che possa adirsi l’autorità giudiziaria per la sua formazione, dovendosi invece invece attendere l’iniziativa del singolo proponente ovvero che l’assemblea respinga la proposta di formazione, per poter ricorrere all’autorità giudiziaria.

All’interno della medesima disposizione, ai commi 4^ e 5^ il legislatore si è preoccupato di  dettare i necessari limiti invalicabili alle norme regolamentari, prevedendo l’impossibilità di: menomare  i diritti di ciascun condomino quali risultino dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, nonchè  l’inderogabilità di una serie di norme  art. 1118, comma 2^, 1119, 1120,1129,1131,1132, 1136 e 1137  del codice civile e l’art. 71 disp. att.cc impedisce derogare agli articoli 63,66,67,69 disp. att. cc.

La riforma ha “abbattuto” anche la clausola contenente divieti  al possesso o alla detenzione di animali domestici, quale piena attuazione dei fondamentali diritti della persona.

Viceversa, il regolamento  di origine esterna o contrattuale,  di pura creazione dottrinaria  e giurisprudenziale, risulta essere  predisposto  dall’unico originario proprietario dell’edificio e non sottoposto all’approvazione della maggioranza assembleare.

  • Opponibilità del regolamento contrattuale nei confronti dei terzi.

In seguito all’ alienazione di unità immobiliari a terzi, da parte dell’originario proprietario e successiva costituzione del fabbricato in condominio, per effetto dell’insorgente comproprietà, di norma, il regolamento è richiamato (anche per relationem) nei singoli atti di compravendita successivi, divenendo a tutti gli effetti vero e proprio contratto e risultando opponibile sia agli acquirenti che ai di loro aventi causa.

E’ pacifico in dottrina e giurisprudenza[2] che: “l’accettazione del regolamento condominiale, predisposto dal costruttore originario, da parte degli acquirenti le porzioni del fabbricato ed il conseguente carattere contrattuale del medesimo, non richiedono la contestualità della conoscenza effettiva con la stipulazione del contratto di acquisto, potendo essere anteriore o posteriore alla stipulazione del contratto, quando all’interno del rogito di acquisto, via sia l’impegno dell’acquirente di osservare il regolamento predisposto”.

In relazione al contenuto, può affermarsi in dottrina e giurisprudenza che SOLTANTO il regolamento condominiale di natura contrattuale  può prevedere limiti, anche ai poteri ed alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti  dell’edificio di loro esclusiva proprietà[3], nonchè limitare i diritti sulle cose comuni.

In relazione a tale specifico contenuto, il regolamento contrattuale non può essere modificato dall’assemblea dei condomini a  maggioranza, essendo necessario il  consenso unanime di tutti i condividenti.

Poiché sovente i regolamenti di condominio di natura contrattuale contengono limiti  ai poteri che i singoli proprietari  hanno “iure domini” sulle loro porzioni esclusive, si ritiene che tali limiti assurgano ad obbligazioni propter rem, la cui caratteristica è, che ai fini della loro efficacia nei confronti degli acquirenti  dall’originario proprietario, debbano essere convenzionalmente accettate nei rogiti di acquisto del bene e per la loro opponibilità nei confronti di terzi acquirenti a titolo particolare, debbano essere trascritte  nei registri immobiliari.

  • Le limitazioni regolamentari alla proprietà esclusiva

In dottrina si è fatto riferimento alla tutela  generale della collettività condominiale, che di fatto ha voluto imporre ab origine all’unità immobiliare insistente in un determinato fabbricato un vincolo di destinazione (uso determinato), in ragione delle peculiari caratteristiche del fabbricato medesimo, preservando l’originaria e normale destinazione per l’utilità generale dell’intero fabbricato assurgendo a tutela di quei valori anche costituzionali e di protezione della sfera inviolabile dell’individuo: tranquillità, privacy, riposo.

Se è pur vero che lo sviluppo e la protezione dei ridetti valori possano farsi comunque rientrare nell’ambito di una generica protezione, quale quella prevista dall’art. 844 c.c., la giurisprudenza ha ribadito che  nell’ambito di una generale protezione della riservatezza, decoro  e signorilità della proprietà dell’edificio in condominio, il regolamento condominiale possa inserire limiti più rigorosi e tutelanti rispetto a quelli apprestati dalla disposizione riportata e dal criterio della “tollerabilità” che presuppone, così che in materia di immissioni , la liceità o meno della stessa, vada giudicata : “non alla stregua del principio generale posto dalla legge, bensì  dal criterio di valutazione fissato  nel regolamento.[4]

Tuttavia, nella peculiare fattispecie esaminata dal tribunale catanese, pur essendo invocata detta disposizione, il giudice ha ritenuto irrilevante, ai fini decisori, la presunta rumorosità della palestra gestita dall’attore, concentrando invece l’attenzione giuridica sulla clausola regolamentare, che prevedeva: “ il divieto di utilizzo dei locali di proprietà esclusiva dei condomini per usi diversi da quello abitativo”.

Proprio in ragione di tale decisivo elemento ed una volta accertato l’abuso nella destinazione del bene da parte del proprietario della palestra, atteso che esso uso si poneva in contrasto con la norma regolamentare ed in particolare  determinava l’ingresso di estranei negli spazi condominiali, in presenza  di esplicito divieto, giudicava la delibera impugnata conforme ai dettati della legge  e del regolamento ed immune da vizi, superando anche le eccezioni del condomino opponente riguarda l’assenza di esplicita accettazione di esse clausole regolamentari, in quanto nell’atto di acquisto, la parte acquirente per se ed aventi causa, dichiarava di “approvare ed accettare” anche il regolamento di condominio, che nella specie, peraltro, risultava formare anche oggetto di allegazione al rogito e trascritto nella nota.

[1] Cass. Civ. Sez. II, ordinanza del 12 settembre 2017, n. 21632

[2] Ex plurimis: Cass. civ. 14.10.1971 n.2159 e cass. civ. 8.2.1975 n.506.

[3] In materia di sopraelevazione, Cass. civ. 14.1.1993 n.395

[4] Cass civ. 4.2.1992 n.1995

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