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In materia di concessione abusiva del credito, secondo Cass. 14.5.2018 n. 11695, sussiste la responsabilità della banca – che finanzi un’impresa insolvente e ne ritardi perciò il fallimento – nei confronti dei terzi che in ragione di ciò abbiano confidato nella sua solvibilità ed abbiano continuato ad intrattenere rapporti contrattuali con essa allorché sia provato che i terzi non fossero a conoscenza dello stato di insolvenza e che tale mancanza di conoscenza non fosse imputabile a colpa.

Nel dettaglio, è rilevato che la condotta della banca che continui a finanziare l’impresa insolvente anziché avviarla al fallimento, offre agli operatori di mercato una sensazione distorta, ingannandoli sulle reali situazioni dell’impresa finanziata ed inducendoli a continuare a trattare con essa, come se fosse un’impresa sana, con la conseguenza che il suo fallimento viene artificiosamente ritardato con grave pregiudizio per la posizione di tutti i creditori: di quelli anteriori al fallimento tardivo, perché dovranno concorrere con altri creditori e riusciranno a recuperare una somma inferiore a quella che avrebbero riscosso, se il fallimento fosse stato dichiarato tempestivamente; dei creditori posteriori, perché essi a loro volta non avrebbero concesso credito, se il debitore fosse tempestivamente fallito.

La circostanza che il fenomeno mostri i propri effetti in relazione al mercato ha indotto l’osservazione – maturata sul filo della percezione che il mercato ha dimensione puramente relazionale nel senso che le relazioni economiche e commerciali non soltanto si svolgono nel mercato, ma pure lo realizzano – che «nell’esercizio della sua attività sul mercato l’operatore economico è artefice del mercato stesso, e come tale è richiamato al dovere di autoresponsabilità anche quale misura di giustificazione delle sue pretese risarcitorie», sicché sembra difficile dubitare «che l’agire negligente e noncurante delle insidie insite nelle operazioni economiche e nelle relazioni commerciali contravvenga al principio di autoresponsabilità, e impedisca di affermare come meritevole di tutela l’incauto affidamento riposto sulla bontà dell’operazione».

È questo un ordine di idee cui non è rimasta insensibile la giurisprudenza di legittimità in tema di tutela dell’affidamento incolpevole, atteso che nel dare il più esteso riconoscimento al principio in parola, in consonanza con i principi solidaristici di cui è espressione l’art. 2 Cost., se n’è sempre condizionata l’opponibilità alla circostanza che l’affidamento sia appunto incolpevole, escludendo, infatti, che possa essere considerato tale quello causato da uno stato di ignoranza superabile con l’uso della normale diligenza (cfr. Cass. 31.7.2017, n. 18928; Cass. 8.9.2015, n. 17794; Cass. 13.5.2009, n. 11135).

È dunque un principio immanente nell’assetto impresso dal diritto vivente alla tutela risarcitoria in materia di affidamento che, intanto si possa affermare la responsabilità del soggetto a cui si imputa il fatto illecito fonte di pregiudizio, se ed in quanto l’affidamento che il danneggiato riponga nella condotta altrui sia immune da colpa, non potendo l’ordinamento tutelare le ragioni di chi per effetto della propria negligenza abbia abdicato al principio di autoresponsabilità.

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