Riduzione del personale e licenziamenti collettivi
Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 8 ottobre 2018, n. 24755
Licenziamenti collettivi – Criteri di scelta – Prossimità alla pensione – Settori aziendali Applicabilità
MASSIMA
La prossimità alla pensione dei lavoratori è un criterio legittimo di scelta nelle procedure di riduzione di personale nei licenziamenti collettivi ex art. 5 della legge n. 223/1991. Il principio è applicabile a tutti i dipendenti dell’azienda a prescindere dal settore al quale gli stessi siano assegnati ed anche al di fuori dei settori aziendali di manifestazione della crisi cui la società ha fatto riferimento nella comunicazione di avvio della procedura.
COMMENTO
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, è intervenuta sulla questione concernente la l’illegittimità del licenziamento, accogliendo il ricorso dell’azienda ex datrice di lavoro che impugnava la sentenza della Corte territoriale. Quest’ultima aveva ritenuto illegittimo il licenziamento intimato ad uno dei lavoratori nella procedura ex legge 223/91 in cui era stato adottato il criterio di scelta dei licenziandi relativo all’accesso a pensione, applicato in senso trasversale a tutta l’azienda. La Cassazione ha precisato che, come già stabilito dalla precedente giurisprudenza, in tema di licenziamenti collettivi diretti a ridimensionare l’organico al fine di diminuire il costo di lavoro, il criterio di scelta unico della possibilità de accedere al pensionamento, adottato nell’accordo sindacale tra di datore di lavoro e organizzazioni sindacali, è applicabile a tutti i dipendenti dell’impresa a prescindere del settore al quale gli stessi siano assegnati, senza che rilevino i settori aziendali di manifestazione della crisi cui il datore di lavoro ha fatto riferimento nella comunicazione di avvio della procedura. Nella richiamata giurisprudenza è dato riscontro alla presenza di due differenti orientamenti del giudice di legittimità: il primo ritiene il criterio delle esigenze tecnico/produttive utile non solo a fondare la decisione della procedura di licenziamento collettivo, ma necessario anche per individuare, insieme agli altri criteri, i lavoratori da licenziare; il secondo invece richiama il suddetto criterio solo al fine di ritenere fondata la scelta di recesso, ma non lo lega alla successiva fase della scelta dei lavoratori, da effettuarsi secondo parametri individuati in sede collettiva. Quest’ultimo orientamento è quello condiviso dalla sentenza in commento e si fonda sulla forte valorizzazione che nelle procedure collettive la legge assegna ai diritti di informativa sindacale, posti a presidio del consapevole svolgimento delle trattative e degli accordi, nonché sul fondamentale ruolo assicurato dalle organizzazioni sindacali nella individuazione di soluzioni complessive nell’azienda che minimizzino il costo sociale della riorganizzazione produttiva. In tale prospettiva, ha precisato la Cassazione, la determinazione negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare in ragione del criterio di accesso alla pensione rispetta allo stesso tempo anche il principio di non discriminazione, il principio di razionalità ed è volto a ridurre al minimo il c.d. “impatto sociale” adempiendo una funzione regolamentare delegata dalla legge. Risulta quindi fondato il ricorso dell’azienda alla Cassazione poiché la Corte Territoriale non ha dato corretta esecuzione ai principi espressi, avendo erroneamente valutato il licenziamento illegittimo sul presupposto della asserita incoerenza tra la crisi dell’azienda, gli esuberi accertati e i lavoratori licenziati, e per aver ritenuto illegittima la estensione della scelta alla intera platea aziendale, pure avendo escluso il carattere discriminatorio del criterio della maggior vicinanza alla pensione quale modalità di scelta dei lavoratori da licenziare. La sentenza va pertanto cassata con rinvio alla Corte di Appello in diversa
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