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La pronuncia della Corte di Appello di Genova n. 206 del 28 ottobre 2023 riguarda una vicenda oggetto di ampia risonanza mediatica, ma il presente commento intende soffermarsi solo sugli aspetti giuridici e non su quelli “folcloristici”. In sintesi, il Comune di Sanremo, avuta conoscenza della pendenza di un procedimento penale coinvolgente 270 dipendenti, indagati nell’inchiesta cd. “Stakanov”, per aver falsamente attestato la propria presenza in servizio, attivava nei confronti di uno di essi il procedimento disciplinare per falsa attestazione della propria presenza in servizio, culminato col licenziamento. Il dipendente impugnava la suddetta sanzione mediante il “rito Fornero” e il Tribunale di Imperia, sia in fase sommaria, sia in fase di opposizione, rigettava il ricorso (le pronunce, dovute alla penna dello stesso Giudice, ordinanza 3 aprile 2017 e sentenza n. 76 del 15 giugno 2022, vengono qui pubblicate per la migliore comprensione da parte del lettore di questo caso giudiziario). Il dipendente, pertanto, adiva la Corte di Appello, al fine di ottenere l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento comminatogli e la reintegrazione in servizio. Parallelamente proseguiva il processo penale, che vedeva l’assoluzione con formula piena (in primo e in secondo grado) del dipendente e il passaggio in giudicato della sentenza. A seguito di ciò veniva riaperto il procedimento disciplinare, a conclusione del quale il Comune di Sanremo confermava la sanzione espulsiva. La pronuncia della Corte di Appello di Genova affronta il tema dell’interferenza tra processo penale e procedimento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato, che necessita di un breve excursus storico-normativo. L’art.3, comma 3 del previgente codice di procedura penale, nel regolare i rapporti tra processo penale e procedimento disciplinare, prevedeva la sospensione del giudizio disciplinare “fino a quando sia pronunciata nell’istruzione la sentenza di proscioglimento non più soggetta a impugnazione o nel giudizio la sentenza irrevocabile, ovvero sia divenuto esecutivo il decreto di condanna”. In coerenza con tale affermata centralità del giudizio penale e degli accertamenti ivi condotti, l’art.117 del Testo unico degli impiegati civili dello Stato (DPR 10 gennaio 1957, n. 3) prevedeva che “qualora per il fatto addebitato all’impiegato sia stata iniziata azione penale il procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale e, se già iniziato, deve essere sospeso” (cfr. Tenore, Note minime sul rapporto tra sentenza penale e procedimento disciplinare, in FA, 1997,2091). La descritta regola della “pregiudiziale penale” imponeva alle amministrazioni pubbliche il divieto di avviare un procedimento disciplinare se per gli stessi fatti il dipendente pubblico fosse stato sottoposto ad azione penale, oppure la sospensione del procedimento disciplinare eventualmente già attivato. La riforma del 2009 ha visto il superamento della pregiudiziale penale e l’affermazione della tendenziale autonomia del procedimento disciplinare dal processo penale (cfr.: Corso, Procedimento disciplinare e procedimento penale dopo la riforma del d.lgs. n. 150/2009, in LPA, 2010,59; Sordi, I rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale nelle amministrazioni pubbliche, ivi, 603). In base all’art.55-ter del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 il procedimento disciplinare avente ad oggetto fatti penalmente rilevanti inizia, prosegue e si conclude anche in pendenza (e a prescindere dalla pendenza) del processo penale. La possibilità di sospensione del procedimento disciplinare è consentita solo per le infrazioni, per le quali è applicabile una sanzione superiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni, nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato e di insufficienza degli elementi per l’irrogazione della sanzione. Come evidenziato dalla Cassazione, la sospensione del procedimento disciplinare in pendenza del processo penale, di cui all’art.55-ter del d.lgs. n. 165/2001, costituisce facoltà discrezionale attribuita all’amministrazione, che può esercitarla qualora, per la complessità degli accertamenti o per altre cause, non disponga di elementi necessari alla definizione del procedimento (cfr.: Cass., 13 maggio 2019 n. 12662, in LG, 2020,153 con nota di Picco; Cass., 5 maggio 2021 n. 11762; Cass., 6 marzo 2023 n. 6660). L’operatività della pregiudiziale penale non più come regola, ma come eccezione, pone il succedaneo problema del “peso” delle statuizioni penali, spesso intervenute dopo diversi anni, sui procedimenti disciplinari non sospesi e conclusi: i commi 2 e 3 del citato art.55-ter dettano dei doverosi meccanismi di raccordo tra il procedimento disciplinare già concluso e il processo penale, al fine di evitare contrasti tra decisioni concernenti la medesima condotta. Nel contenzioso in esame interessa la previsione del comma 2, la quale disciplina il rapporto tra procedimento disciplinare non sospeso e concluso con l’irrogazione di una sanzione e successivo procedimento penale definito con sentenza irrevocabile di assoluzione, che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste, o non costituisce illecito penale, o che il dipendente medesimo non lo ha commesso: in tale evenienza l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall’irrevocabilità della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale. La Corte di Cassazione in più occasioni (Cass., 14 novembre 2018 n. 29376; Cass., 13 dicembre 2022 n. 36456; Cass., 20 dicembre 2022 n. 37322, in ADL, 2023,789 con nota di Auriemma) ha chiarito che nelle ipotesi di raccordo di cui ai commi 2 e 3 dell’art.55-ter non si configura una violazione del generale principio del “ne bis in idem”, in quanto il procedimento disciplinare è unitario, seppur bifasico, con l’effetto pratico che a essere esercitato è sempre lo stesso potere: alla fine o resta confermata la prima sanzione, che diviene quella definitiva, oppure viene adottata la seconda sanzione, che rimuove ab initio la precedente e resta l’unica a regolare la condotta tenuta dal dipendente. Il comma 4 dell’art.55-ter contiene una norma di chiusura, prevedendo che nel procedimento disciplinare ripreso o riaperto l’ufficio procedente applica le disposizioni dell’art.653, commi 1 e 1-bis del codice di procedura penale. Per quanto di interesse nel caso in esame, il comma 1 dispone che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha commesso. Nel contenzioso sottoposto all’esame della Corte di Appello di Genova emerge che i fatti oggetto del procedimento disciplinare erano identici a quelli sottoposti alla cognizione del giudice penale, che li ha ritenuti insussistenti in entrambi i gradi di giudizio. La Corte di Appello di Genova ha, pertanto, dato corretta applicazione alle previsioni dell’art.55-ter del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art.653, comma 1 del codice di procedura penale, nel senso che l’avvenuta assoluzione con formula piena in sede penale coperta da giudicato determina l’illegittimità della sanzione disciplinare espulsiva adottata nell’ambito del procedimento disciplinare. Luca Busico, coordinatore direzione del personale dell’Università di Pisa Visualizza i documenti: App. Genova, 28 ottobre 2023, n. 206; Trib. Imperia, 15 giugno 2022, n. 76; Trib. Imperia, 3 aprile 2017 Scarica il commento in PDF L'articolo Assoluzione in sede penale e conseguenze sul procedimento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato. Il caso del Vigile urbano di Sanremo, reintegrato e risarcito in appello sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.

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