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L’apertura di credito – nella pratica bancaria nota anche come fido o affidamento bancario – è il contratto consensuale col quale la banca (accreditante) si obbliga a tenere a disposizione dell’altra parte (accreditato) una somma di denaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato (art. 1842 c.c.).

L’oggetto dell’apertura di credito non è il godimento di una somma ma il godimento di una disponibilità: tale circostanza differenzia e caratterizza l’apertura di credito rispetto ad altri contratti di credito, imperniati sulla erogazione delle somme. È dunque una operatività riconducibile nell’ambito delle operazioni attive o di impiego della banca: l’apertura di credito è il principale contratto bancario attivo (di regola collegato ad un contratto di conto corrente), cui fa ricorso chiunque abbia l’esigenza di avere costantemente a disposizione una certa somma di denaro per fronteggiare future ed eventuali concrete necessità, al momento non determinabili.

L’apertura di credito è sostanzialmente un contratto di credito autonomo, intuitus personae (la morte dell’accreditato o la sua sopravvenuta incapacità determinano lo scioglimento del rapporto, intrasmissibile mortis causa agli eredi; fa eccezione l’ipotesi in cui l’accreditato sia una persona giuridica), consensuale ad effetti obbligatori (non è richiesta la consegna del denaro per il suo perfezionamento), oneroso (è dovuta una provvigione per la messa a disposizione delle somme da parte della banca e il pagamento degli interessi sugli importi utilizzati), a prestazioni corrispettive e di durata. L’importo messo a disposizione dell’accreditato deve essere determinato o determinabile.

Il contratto di apertura di credito conferisce all’interessato non già una somma di denaro, ma una mera disponibilità finanziaria (cui non corrisponde un obbligo del cliente di sua utilizzazione): la somma in affidamento rimane in proprietà della banca accreditante fino al momento della sua effettiva utilizzazione da parte dell’accreditato; è soltanto con il prelevamento che l’accreditante diventa creditore e l’accreditato debitore, essendo tenuto da tale momento alla restituzione dell’importo utilizzato, con i relativi interessi. In definitiva, l’accreditato ha la disponibilità economica delle somme messe a disposizione dalla banca; con l’effettuazione di uno o più prelevamenti l’accreditato ne acquisisce anche la disponibilità giuridica (proprietà) (Cass. n. 10117/2021; Cass. n. 18182/2004: nel contratto d’apertura di credito bancario, la semplice annotazione in conto corrente della somma messa a disposizione del cliente non concretizza quella tradizione simbolica, idonea e sufficiente a realizzare l’estremo della consegna, tant’è che il rapporto obbligatorio in ragione del quale può l’accreditante dirsi creditore dell’accreditato, sorge soltanto nel momento ed a causa del prelievo della somma messa a disposizione).

Da quanto precede discendono importanti conseguenze: a) poiché il credito del correntista non è né liquido né esigibile prima della manifestata volontà di concreta utilizzazione della somma, deve escludersi che fino a quel momento detta somma sia produttiva di interessi; b) la predetta condizione di illiquidità ed inesigibilità del credito impedisce che, a fronte della semplice conclusione del contratto, possa attuarsi alcuna compensazione tra detto credito e altro ipotetico credito vantato dalla banca nei confronti del proprio cliente (Cass. n. 10117/2021; Cass. n. 2742/1994).

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