Le ammissioni contenute negli scritti difensivi sottoscritti unicamente dal procuratore costituiscono elementi indiziari liberamente valutabili dal giudice
Cass., sez. II, 28 settembre 2018, n. 23634, Pres. Matera – Est. Federico
[1] Confessione – Ammissioni del procuratore contenute negli atti difensivi – Valore indiziario – Valore confessorio – Condizioni – Fattispecie (Cod. proc. civ., artt. 228, 229)
Le ammissioni contenute negli scritti difensivi, sottoscritti unicamente dal procuratore “ad litem”, costituiscono elementi indiziari liberamente valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento. Esse, tuttavia, possono assumere anche il carattere proprio della confessione giudiziale spontanea, alla stregua di quanto previsto dagli artt. 228 e 229 c.p.c., qualora l’atto sia stato sottoscritto dalla parte personalmente, con modalità tali che rivelino inequivocabilmente la consapevolezza delle specifiche dichiarazioni dei fatti sfavorevoli in esso contenute. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza gravata che aveva negato valore confessorio alle dichiarazioni contenute nella comparsa di risposta di una parte, sottoscritta dal solo difensore e depositata in diverso giudizio).
CASO
[1] L’attore, proprietario di un terreno confinante con un’area di proprietà del convenuto, su cui erano edificati un albergo, una struttura in muratura e un insediamento residenziale a distanza inferiore a quelle legali ovvero prescritte dalle norme del PRG del Comune di Roma, domandava al Tribunale che fosse dichiarato il proprio acquisto per usucapione del diritto a mantenere la struttura in muratura e che fosse ordinata la demolizione dell’insediamento residenziale.
Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda, con decisione che veniva confermata in sede d’appello.
La convenuta soccombente proponeva ricorso per cassazione denunciando, in particolare, violazione e falsa applicazione dell’art. 2730 c.c. Secondo la censura proposta, la Corte territoriale avrebbe infatti errato nel valutare il comportamento tenuto dall’attore, escludendo la natura di confessione giudiziale delle dichiarazioni contenute nella comparsa di risposta, dallo stesso depositata in altro giudizio, circa la data di costruzione della struttura in muratura – data da collocarsi in un’epoca successiva ed evidentemente tale da escludere la possibilità di acquisto per usucapione.
SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte rigetta il motivo di ricorso proposto per infondatezza, escludendo la natura confessoria delle dichiarazioni de quibus.
QUESTIONI
[1] La Cassazione è dunque chiamata a pronunciarsi in merito alla possibilità di riconoscere valore confessorio alle dichiarazioni contenute nella comparsa di risposta depositata, nell’ambito di un differente giudizio, da una delle parti.
A tal riguardo, nel caso di specie paiono difettare almeno due dei requisiti che consentirebbero a un tale atto processuale di acquisire tale valore.
Da un lato, infatti, è da riguardarsi come confessione stragiudiziale quella resa nel quadro di un altro procedimento civile, con conseguente applicazione del regime probatorio di cui all’art. 2735 c.c. Tale norma, come noto, prevede che tale tipo di confessione abbia lo stesso valore probatorio di quella giudiziale solo se resa nei confronti della controparte attuale del giudizio o a un suo rappresentante; viceversa, ove resa nei confronti di un terzo o contenuta in un testamento degrada a prova liberamente apprezzabile dal giudice. Nel caso di specie, poiché il differente giudizio, nell’ambito del quale era stata depositata la comparsa di risposta recante declarationes contra se, era stato instaurato nei confronti di un soggetto differente dalla controparte attuale del dichiarante, ne è inevitabilmente derivata l’impossibilità di riconoscere valore confessorio a tali dichiarazioni. Ciò è bene espresso dalla pronuncia in commento, laddove si precisa come la dichiarazione resa nell’ambito di un differente giudizio veda, appunto, esclusa la sussistenza del c.d. animus confitendi.
Il secondo requisito che si renderebbe necessario ai fini de quibus è rinvenibile nel testo dell’art. 229 c.p.c. che, nel definire la confessione giudiziale spontanea, richiede che l’atto processuale in cui la stessa è contenuta sia «firmato dalla parte personalmente». Tale requisito, come noto, pone dei problemi con riguardo a quella serie di atti – atto di citazione e, per l’appunto, comparsa di risposta su tutti -, in cui, in calce o a margine, la parte abbia provveduto a rilasciare la procura al difensore, apponendovi la propria sottoscrizione. Secondo alcuni orientamenti, infatti, la presenza della procura (e annessa sottoscrizione della parte) varrebbe a far assumere alla parte la piena paternità dell’atto, con conseguente possibilità di riconoscere alle dichiarazioni contra se ivi racchiuse valore confessorio (con riguardo alla comparsa di risposta, Cass., 22 novembre 1995, n. 12096). Diversa, tuttavia, è l’opinione dominante, seguita anche dal provvedimento in esame. Occorre ricordare, infatti – come opportunamente rilevato dai giudici di legittimità – che la procura apposta in calce o a margine, ancorché contenuta nel medesimo foglio in cui è racchiuso l’atto processuale, costituisce un atto giuridicamente distinto da questo, ancorché ad esso collegato (così, Cass., 6 dicembre 2005, n. 26686). Ne consegue che, affinché le dichiarazioni contra se contenute in un atto processuale possano assumere il carattere proprio della confessione giudiziale spontanea, è necessario che tale atto processuale sia sottoscritto personalmente dalla parte, con modalità tali da rivelare inequivocabilmente la consapevolezza delle specifiche dichiarazioni dei fatti sfavorevoli in esso contenute (sul punto, si veda la sintesi effettuata da M. Montanari, V. Baroncini, sub art. 229 c.p.c., in C. Consolo (diretto da), Codice di procedura civile. Commentario, II, Milano, 2018, 441). Peraltro, ferma l’esclusione del valore confessorio di tali dichiarazioni, è nota la disputa attorno all’effettivo valore probatorio che sarebbe allora da riconoscersi alle medesime: sul punto, la pronuncia in esame discorre di «elementi indiziari liberamente valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento» (in senso conforme, pure Cass., 2 ottobre 2007, n. 20701), e dunque di elementi probatori idonei a corroborare il convincimento che il giudice abbia fondato sulla base della valutazione di prove libere.
Vale la pena precisare che, nonostante la ricognizione svolta dalla sentenza in commento con riguardo ai requisiti propri della confessione giudiziale spontanea, nel caso di specie fosse sufficiente a escludere il valore confessorio delle dichiarazioni in esame la prima circostanza segnalata, ossia il fatto che si trattasse di dichiarazione contra se racchiusa in una comparsa di risposta depositata in un diverso giudizio, instaurato nei confronti di altri soggetti.
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